Spettacoli - Ardis II
       
      Enigmi per Ada, Ada per enigmi
      di Stefano Bartezzaghi
       
     

Freud ci dice che il sogno è un indovinello figurato. Non è una metafora, una suggestione, un modo di dire: è un'indicazione tecnica, e allude alla natura dei rapporti fra due linee di senso (il contenuto manifesto, il contenuto latente).

Come succede nel rebus quel che si vede non è un'illustrazione di quel che ci si può leggere: ne è una trasformazione, che fa leva sulle somiglianze casuali delle parole, su doppi sensi, su circostanze linguistiche che normalmente considereremmo insignificanti e che qui si offrono come appigli, denti per l'ingranaggio del lavoro dell'inconscio.

Quella degli enigmi, dei rebus, delle sciarade, degli anagrammi, dei palindromi, dei cruciverba è la scienza del doppio: ogni elemento deve ossessivamente consentire una seconda lettura, costruire un secondo senso. Ogni evidenza si accompagna all'ombra di una latenza, ogni menzogna tace un segreto, il cinema proiettato su uno schermo per la gioia ingenua dei suoi spettatori ha le sue vere storie dietro al lenzuolo.

Ho sempre pensato che Ada fosse la protagonista di un rebus. Una di quelle figure impegnate in attività normali e assurde, reali e oniriche: esce da una vasca, prega, ama, osa, teme, sta china, ride, ara, sempre sormontata da lettere alfabetiche o altri simboli. La sua abilità, nel romanzo di Nabokov, in giochi come lo Scrabble, gli anagrammi, i linguaggi criptici, l'allusione è una sorta di rispecchiamento fra l'evidenza di un personaggio narrativo (tutto quello che è, è detto) e il suo indicibile segreto (quel che ne è detto proietta l'ombra di quel che non se ne sa). Autrice e solutrice di enigmi, protagonista di enigmi, Ada diventa così una musa per l'enigma, una figura tutelare che sorveglia il punto di passaggio fra luce e ombra (in italiano luce, ombra è l'anagramma di calembour).

Osservando il lavoro di Fanny & Alexander ho visto che neppure in quel caso ciò che si vede illustra quel che ci si può leggere. La ben nota teatralità del rebus può trovare una sua traduzione scenica. Il testo si scompone in sezioni che ricordano le sillabe e gli altri spezzoni di parola che oscillano fra una e l'altra lettura del rebus. Il video riporta lo stesso gesto sotto l'occhio dell'osservatore, come un solutore di rebus ritorna di continuo alla stessa vignetta cercando di estrarne la chiave, la sua doppia, ambigua essenza.

Si attraversa l'enigma e arrivati alle soglie della soluzione, con la libertà che si ha nel sogno, ci si volta e si scruta non l'assenza della soluzione ma il rovescio dell'enigma. In quel punto la luce del contenuto manifesto è attutita dall'ombra del contenuto latente, che rimonta. Se ci si ferma proprio in quel punto, non è più importante ricostruire le frasette di pretesto (e naturalmente di pre/testo) che hanno imposto con la forza di un gioco atti, soggetti, oggetti, contesti arbitrari: arbitrari come l'accostamento di Ada, Ardis, gli ardori, gli alberi. Quella forza, quell'arbitrio ora occupano lo spazio del testo. Come accade nel primo dei "Nodi" di Laing, il gioco consiste nel non vedere che si vede il gioco. E fra le luci e le ombra di tutti i calembour Ada, la reversibile Musa degli enigmi, vista e non vista si scioglierà nel suo migliore rebus.

       
       
     

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