Spettacoli - Requiem per spazi monumentali
       
      Per un teatro monumentale
      Sullo spazio scenico, da La strana parola di... di Jean Genet, in Oeuvres complètes, Gallimard, 1968, tratto da Il patalogo uno, Ubulibri/Edizioni il Formichiere, 1979
       
     

Nelle città d'oggi, il solo luogo - ahimè ancora periferico - in cui si potrebbe costruire un teatro, è il cimitero. La scelta sarà utile tanto al cimitero che al teatro.

Se un'area è riservata al teatro, il pubblico (per venire e per andarsene) dovrà seguire dei sentieri che costeggeranno le tombe. Si pensi a che cosa sarebbe l'uscita degli spettatori dopo il Don Giovanni di Mozart, al loro passaggio tra i morti coricati nella terra, prima di rientrare nella vita profana. Né le conversazioni né il silenzio sarebbero gli stessi che all'uscita di un teatro parigino.

Ci sono anche altre ragioni, più sottili. A voi scoprirle dentro di voi senza definirle, né nominarle.

Il teatro monumentale - il cui stile è ancora da trovare - deve avere tanta importanza quanto il Palazzo di Giustizia, il monumento ai caduti, la cattedrale, la Camera dei deputati, l'Accademia militare, la sede del governo, gli angoli clandestini del mercato nero e della droga, l'Osservatorio - e la sua funzione sta nell'essere tutte queste cose assieme, ma in un certo modo: in un cimitero, o vicino ad un forno crematorio, dal camino rigido, obliquo e fallico.

Non parlo di un cimitero morto, ma vivo, non di quello cioè in cui resta solo qualche stele. Parlo di un cimitero dove si continua a scavare tombe e a sotterrare morti, parlo di un crematoio dove notte e giorno si cuociono cadaveri.

Quando parlo di un pubblico favorito, si tratta di certe persone sufficientemente coinvolte per fare riflessioni sul teatro in generale, e sulla pièce rappresentata quel giorno.

Senza essermi molto preoccupato del teatro mi sembra che l'importante non è moltiplicare il numero delle rappresentazioni perché un gran numero di spettatori possa approfittarne, ma far sì che i tentativi - chiamati prove - sbocchino in una sola rappresentazione, di un'intensità tanto grande, e di una diffusione talmente piena che l'incendio scatenato in ogni spettatore sarebbe sufficiente a illuminare chi non vi avesse partecipato, e a turbarlo.

Quanto al pubblico, verrebbe a teatro solo chi avesse il coraggio di una passeggiata notturna in un cimitero per confrontarsi con un mistero.

Con una specie di grazia leggera i cimiteri, in capo a qualche tempo, si lasciano spodestare. Quando non si effettuano più sepolture, muoiono, ma in maniera elegante: i licheni, il salnitro, i muschi coprono le pietre tombali. Il teatro costruito nel cimitero forse morirà, si spegnerà, come lui. O sparirà addirittura?

E' possibile che l'arte teatrale un giorno sparisca. Bisogna accettarne l'idea. Se un giorno l'attività degli uomini fosse sempre più rivoluzionaria, il teatro smetterebbe di avere un posto nella vita. Se un intorpidimento dello spirito non suscitasse negli uomini nient'altro che il sogno, anche il teatro morirebbe.
Che si perderebbe se si perdesse il teatro? Cosa diventeranno i cimiteri? Un forno capace di disgregare i morti.

Se parlo di un teatro in mezzo alle tombe è perché la parola morte è oggi tenebrosa, e in un mondo che sembra procedere così gagliardamente verso una luminosità analitica, dove più niente protegge le nostre palpebre translucide, credo che si debba aggiungere un po' di tenebra. Dobbiamo cercarci un rifugio, scoprire un'ombra fresca e torrida, che sarà la nostra opera.

A Roma ho letto che esisteva - ma forse la memoria m'inganna - un mimo funebre. Il suo ruolo? Precedendo il corteo, aveva l'incarico di mimare i fatti più importanti di cui si componeva la vita del morto quando questi - il morto - era vivo. Improvvisare dei gesti? Degli atteggiamenti?

Le parole. Quando si è furbi, si può far finta di ritrovarcisi, si può far finta di credere che le parole non si muovono, che il loro senso è fisso o che è cambiato grazie a noi. Ma se ne permette solo un più prolungato brulicare in mezzo ad una vegetazione anch'essa distratta, screziata dai miscugli di polline, dai suoi innesti alla meno peggio, dai butti, dai germogli che spuntano e si mescolano in un acquazzone d'esseri o, se si preferisce, di parole equivoche come gli animali della Fiaba.

E il mimo funebre?

E il teatro nel cimitero?

Prima di seppellire il morto, che si porti fino in proscenio il cadavere dentro alla bara; che gli amici, i nemici e i curiosi si schierino nella parte riservata al pubblico; che il mimo funebre in testa al corteo si sdoppi, si moltiplichi; che divenga una compagnia teatrale e faccia, di fronte al morto e al pubblico, rivivere e rimorire il morto; che subito dopo si riprenda la bara per portarla, in piena notte, alla fossa; infine che il pubblico se ne vada: la festa è finita.
Fino ad una nuova cerimonia proposta da un altro morto la cui vita meriterà una rappresentazione drammatica, non tragica. La tragedia bisogna viverla, non rappresentarla.

Tradire è forse nella tradizione, ma il tradimento non è di tutto riposo. Ho dovuto compiere un grande sforzo per tradire i miei amici: in fondo c'era la ricompensa.

Il mimo funebre dunque per la grande parata prima della sepoltura del cadavere, se vuol far rivivere e rimorire il morto, dovrà scoprire, e avere l'audacia di dirle, queste parole dialettofaghe che, davanti al pubblico, si mangeranno la vita e la morte del morto.

       
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