Rassegna stampa - Spettacoli
       
      Requiem per spazi monumentali
       
     

Paolo Ruffini, Requiem per Amore e Psiche

Valeria Ottolenghi, Struggente di bellezza "Requiem" di Fanny & Alexander

Gilberto Santini, Il teatro di Fanny & Alexander, un gioco tra vita e morte

Giordano Montecchi, Tempesta sonora nell'Ade elettronico di Fanny & Alexander

Renato Palazzi, Un Requiem senza cimitero

       
       

   
Requiem per Amore e Psiche
      Paolo Ruffini, Hystrio, anno XIV, n.4, ottobre - dicembre 2001
       
     

L'immaginario cimiteriale ha da sempre accompagnato la progressione estetica di Fanny & Alexander, gruppo ravennate tra quelli di una generazione ormai sul confine della maturità, capaci di saldare in un unico soggetto una precisa strategia scenica, immediatamente riconoscibile, con un raffinato esercizio di stile attraverso il quale filtrare l'esperienza arte/vita nel teatro.

E se da una parte il costante lavoro volto a definire una particolare rappresentazione di sè ha generato spettacoli-pretesto, con al centro l'immoto gioco delle crudeli e deliziose occasioni letterarie di Fanny & Alexander, dall'altra, la compagine guidata da Luigi de Angelis e Chiara Lagani ha mostrato una debolezza e una forza proprio nella ricerca fonetica e sonora in continuità con la Raffaello Sanzio e prima ancora con Carmelo Bene.

Ora è un Requiem l'ultima e riuscita fatica, uno spettacolo-concerto come nelle loro corde e che ovviamente omaggia volontariamente o involontariamente appunto quell'eredità di senso e compositiva ma con uno scarto fondamentale in più, nel momento in cui Requiem concepito come un'Opera ha figure narranti iscritte a servire la drammaturgia e la partiture in una temperatura meno fredda e autofagocitante.

La scena ricorda un grande cimitero e con mura completamente rosse; tra le finestre si intravedono bagliori luminosi mentre al centro una sorta di solenne entrata con scale fa pensare a quelle case del popolo versione neoclassica, interpretazione delle architetture quattrocentesche.

Punto di partenza è il mito di Amore e Psiche con intersezioni classiche, laddove lo sguardo contemporaneo prende lo spunto da Rimbaud, Manganelli, Genet e ancora Carroll, traghettatore nel viaggio sulfureo e favolistico con il personaggio dello Psicopompo, ovvero il coniglietto dell'Alice in lingua barocca, meravigliosamente "indossato" da Marco Cavalcoli.

E' un canto straziante invece la presenza di Psiche che invoca Eros sterzando persino sul dialetto romagnolo e senza che questi compaia, anzi è Pan ad affiorare durante il suo dolente lamento, nel quale il corpo sembra sottrarsi seppure si completi con gli interlocutori intermezzi di Afrodite in canto gregoriano.

Le voci microfonate imbastiscono dunque una struttura sintetica quanto efficace dello spettacolo, ma che diventa nel magma sonoro di Ceccarelli "per voci, trombone, ambienti e macchine del suono", violenta e carnale e di estrema bellezza.

Dicevamo dei debiti nei confronti delle altre atmosfere e maestrie, ma nell'ottica questa volta di un lavoro di scrittura e di riscrittura che guarda indietro con rispettosa indifferenza, Requiem mostra una nuova potenzialità rigenerativa di Fanny & Alexander.

       
       
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      Valeria Ottolenghi, La Gazzetta di Parma
       
     

"Pistola, pillola o fiume?": Pan - l'attore Mirto Baliani, in scena per il cupo, ironico e straziante Requiem di Fanny & Alexander - sfida Psyche al suicidio, stimolandola quindi a non rinunciare ad Amore, ad andare in cerca di Eros in tutto il mondo, foss'anche si trovasse all'inferno.

E evocando Rimbaud, in versi che accolgono un dialetto filtrato, stilizzato ma ancora con il sapore della terra, Pan dialoga con la fanciulla e il suo pianto. "Le lune atroci. L'amôr d'inturmintes. A volte ti prende il desiderio d'andar zò, di' la verità!".

Un'estrema, coraggiosa e potente varietà di linguaggi, con Apuleio e Marino, Pascoli e Genet, fusi in stupefacenti modi dalle avvolgenti, emozionanti musiche di Luigi Ceccarelli, "Requiem per voci, trombone, ambienti e macchine del suono" che si espandono nell'aria, lo spazio aperto scelto su un piano in collina, un'alta roccia alle spalle dove a tratti appare Afrodite: questo spettacolo di Chiara Lagani e Luigi de Angelis, prodotto con Ravenna Festival, e visto nell'ambito del Festival di Santarcangelo, è opera di vasta complessità, ingenua e raffinatissima ad un tempo nell'amalgamare i materiali mitico letterari, musicali e visivi in una teatralità potente, capace di produrre insieme angoscia e sorriso.
Sicuramente in ogni spazio in cui verrà adattato acquisterà con le nuove proporzioni anche diverse sfumature di senso e di coinvolgimento - e certo si cercherà di rivederlo in diverse situazioni.

Una lunga parete rossa con finestre dove le luci paiono a momenti fiamme mobili: un inferno rituale e familiare, spazio di paura e ricatti, intimità e desiderio. Ricordando la fiaba di Bella e la Bestia, ma anche l'Alice di Carroll: Psicopompo (molto bravo Marco Cavalcoli) evoca il coniglio che ha sempre fretta (e uno vero sarà lasciato libero di correre davanti alla scena) e ricorderà a Psyche (Chiara Lagani) che, gli avesse chiesto un consiglio prima, le avrebbe detto di piantarla a ventisei anni. "Ma ormai è tardi!", mezzo anno di troppo…
L'attrazione per il suicidio si risolve nell'esperienza, replicata, del tuffarsi, "dirupare", saltando quindi, oltre l'istante d'abbandono, sul laghetto/tappeto elastico.

Infelicità della separazione, tormenti e pianti nella sofferenza dell'abbandono. E nel pan/ico Psyche sperimenterà più volte l'istante di morte.
Possiede il lucido, distante, suadente canto della sirena Afrodite, la sua immagine in pietra al fianco.
E, teatro nel teatro, si aprono qua e là riferimenti ai presenti, a quel pubblico cui si va raccontando una storia. Lettere sparse come di un trascurato monumento funebre al centro - che cadranno infine, nulla che si salvi al tempo che scorre.

Grottesche le due sorelle, maligne ed ambigue. Intimità sottovoce tra Psyche ed Eros al buio. E' sempre di fretta Psicopompo, animale che teme la regina pur nel suo potere di far avanzare le vicende, il racconto.

Smarrimenti. Sentimenti di colpa. Desiderio di perdersi, di annullarsi.

"Allora, t'è capì la föla?"

Psyche dichiara di stare bene - e di voler morire, piena di contrasti interiori, anche di odio "per quella sua desta vita".
Cadere nel quieto vortice del nulla! Vicinanza con le anime/gli animali: ossessioni e affinità.
Immagini di volti sfocati alle finestre. Acqua che scivola sulla parete: tutto si consuma nell'Ade teatrale, come un cimitero. Mutano le luci. Ombre si proiettano sulla roccia. Oltre la bellezza odiata e invidiata il mito è racconto e intimo sentire che ritorna. Psicopompo sente che va disgregandosi il discorso. Sarà possibile incontrarsi nuovamente? Ma: come riconoscersi? L'addio è per sempre?

Requiem: proprio un'opera di superbo valore creativo, bellissima in sè e che meriterà nuovi incontri e approfondimenti. Lunghissimi, commossi gli applausi al termine per tutta la compagnia.

       
       
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      Giordano Montecchi, L'Unità, 8 luglio 2001
       
     

Sarà la geografia, i cromosomi, fatto sta che il "Ravenna Festival", con una frequenza anomala rispetto ad altre illustri rassegne musicali, ha sempre avuto una spiccata propensione teatrale, a spingersi fuori dall'alveo operistico per attingere a quel teatro musicale di ricerca di cui proprio la Romagna è una sorta di Silicon Valley.

L'anno scorso fu l'anno del Teatro delle Albe che presentò "L'isola di Alcina" (Ermanna Montanari con le musiche di Luigi Ceccarelli).
Quest'anno tocca a Fanny & Alexander (Chiara Lagani e Luigi De Angelis) col loro Requiem per voci, trombone, ambienti e macchine del suono; una materia sonora anche qui plasmata magistralmente da Luigi Ceccarelli.

La fabula - tratta dal mito di Eros e Psyche - tritura e impasta parole e ispirazioni da Apuleio all'Antologia Palatina, da Manganelli a Rimbaud, da G.B. Marino a Lewis Carroll, da Pascoli a Jean Genet.
Ne esce un testo torrenziale e senza freni, una lingua multipla, barocca, dialettale, balbuziente. Psyche è colei cui la bellezza è condanna, che ama e non può vedere, che vuole ma non sa morire.

La rappresentazione inizia un'ora prima, attraversando Acheronte. Si sale su un battello che percorre la darsena. Chilometri di gru, serbatoi, scheletri d'acciaio. Nessuno in vista: metallo, cemento, acqua, cielo e nient'altro. In tre quarti d'ora tutto il resto è lontanissimo.

All'imbrunire la nave ci sbarca all'ingresso dell'Ade: è il Cimitero Monumentale, neogotico romantico, scuro, imponente.
Era la cornice strepitosa pensata originariamente per questo Requiem cui, per qualche malinteso divieto, si è dovuto rinunciare in extremis. Come scenario del prologo però emana una pari suggestione.

Arriviamo al luogo: un muro rosso, nudo, lapide o soglia dell'aldilà. Attorno è un'Arcadia di cespugli e boscaglia, fra i rami si staglia la statua bianca della Venere di Milo. Un ronzio sordo diventa un rombo assordante che si sposta; mosconi, calabroni sfrecciano. Ma non ci sono né aerei né insetti, solo diffusori nascosti nel buio. Il muro si accende: luci, fuochi, la scena si anima.

Nell'aria lacerata dai suoni ovunque, corrono i gesti e le voci degli interpreti in gara di bravura fra loro: Chiara Lagani (Psyche/Afrodite), Marco "Psicopompo" Cavalcoli, le "Sorelle" Francesca e Sara Masotti, Valerio "Eros" Michelucci, Mirto "Pan" Baliani.

Luigi Ceccarelli è il signore del tuono. Nella sua fucina le voci diventano polifonie metalliche, taglienti di cattiveria (le Sorelle); gli smarrimenti e i vaniloqui di Psyche generano marosi di tempesta, spalancano abissi; uno, mille tromboni riversano tonnellate di suono, come si risvegliassero le navi che dormono poco lontano.

Ma dalla statua di Afrodite, a tratti, nasce un canto: Requiem aeternam, poi Kyrie, Dies Irae, Lacrymosa, Agnus Dei. Intonata da Elena Sartori, la melopea gregoriana è un canto di sirena o di strega, seducente e terribile che si rifrange, si amplifica, combatte con le parole.

Nella dimensione sonora il dramma di coppie e di antagonismi - Eros e Psyche, Afrodite contro Psyche - si muta nel binomio psyche e techné. Qui la "meraviglia" cavalca a briglie sciolte, la tecnologia elettronica dona alla parola un'aura, uno strapotere emotivo che stordisce e ammalia.
La metamorfosi è continua: suono, rumore, canto, parola, musica si compenetrano, si generano uno dall'altro in una drammaturgia uditiva che azzera il tradizionale dualismo parola/musica.

E' un teatro nuovo (e dunque benvenuto), un neo-barocco tecnologico forse fin troppo pago del suo potere seduttivo e immaginifico; un fiume in piena che già reca in sè il bisogno di un'argine che ne disciplini il corso. Chapeau!

       
       
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      Renato Palazzi, Domenica, supplemento a Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2001
       
     

"Sfrattato" dal Cimitero Monumentale di Ravenna, relegato in un anonimo terreno a pochi passi dalle mura di quest'ultimo - anziché fra le tombe com'era inizialmente previsto dal programma del Festival - il Requiem del giovane gruppo "Fanny & Alexander" non rinuncia alla sua immagine fondamentalmente funeraria: la scenografia incongruamente montata tra sterpi ed erbacce è infatti un lungo muro rosseggiante interrotto da finestrelle cieche come loculi, un mausoleo, un'enorme lapide, un luogo di metaforica sepoltura.

E l'inizio dei versi di Marino sulla "novelletta" di Amore e Psiche, che fa da base all'azione, è impresso sulla parete dell'ingresso come un'antica epigrafe resa in parte illeggibile dal tempo.

Il pubblico, trasportato sul posto da un battello che risale il porto-canale come un'emblematica barca di Caronte, viene introdotto alla vicenda da uno Psicopompo svagato e balbuziente, una guida, un custode dell'Ade che si sovrappone paradossalmente al Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie, e prontamente si sdoppia in un coniglio vero che accompagna l'apparire della protagonista.

Questo intreccio del mito classico con la fiaba di Lewis Carroll, che percorre come un filo rosso l'intero copione, ha l'intento di riportarne i temi a quella dimensione macabro-infantile propria dei primi spettacoli del gruppo, facendo della discesa agli inferi una sorta di viaggio interiore alla ricerca di un'identità ancora incerta e precaria.

La storia dell'incontro fra questa Alice ante litteram e il giovane Eros - visto qui come entità silenziosa e puramente pittorica, che a tratti spunta dalla sommità della costruzione con fiammeggianti torce in mano - si svolge dunque in un clima trasognato e sospeso, onirico, febbrile, dove le sorelle della ragazzina sono due figurette da incubo che cercano di spingerla alla morte, Afrodite è una strega cattiva che canta il Dies irae da un vicino boschetto, stando accanto alla propria statua, e lei, Psiche, tenta di uccidersi gettandosi in un laghetto che di fatto è un materasso elastico su cui rimbalza ossessivamente.
Nel testo si mescolano e si stratificano giochi verbali di Carroll, brani di Apuleio, Pascoli, Rimbaud, battute in dialetto romagnolo.

Lo spettacolo trae effetti suggestivi dal bell'impianto scenografico, da qualche intuizione penetrante - fra cui quella di evocare l'Aldilà come un mondo bidimensionale di labili immagini fotografiche - e dalla trascinante musica elettronica di Luigi Ceccarelli, una complessa partitura per strumenti, voci, rumori naturali, che passando da remote liquidità a sonorità potentemente raschianti sembra davvero richiamare echi d'oltretomba.

Meno risolta è invece proprio la struttura drammaturgica, che risulta stranamente più narrativa che allusiva, a momenti anche un po' declamatoria, e persino dalla contaminazione con l'inquieto wonderland vittoriano trae in fondo più rischi di confusione che spunti di proficua ambiguità.

       
       
     

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