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  Rassegna stampa - Spettacoli
       
      Ardis I (Les Enfants maudits)
       
     

Rodolfo Sacchettini, Ada e Van, insetti incestuosi

Oliviero Ponte di Pino, Le recensioni di "ateatro": Ada, cronaca familiare. Ardis I (Les Enfants maudits)

Gianni Manzella, Crudeli tentazioni d’infanzia

Renato Palazzi, Gli abissi inquieti dell’adolescenza

Franco Quadri, I bambini maledetti dentro la scatola magica

       
       
    Le recensioni di "ateatro": Ada, cronaca familiare. Ardis I (Les Enfants maudits)
      Oliviero Ponte di Pino, ateatro 55.52
       
     

René Magritte usava tutti gli elementi della grammatica della pittura per destrutturare e distruggere la rappresentazione pittorica.

Fanny & Alexander utilizza i meccanismi della rappresentazione teatrale, in tutti i suoi formalismi (la definizione dello spazio scenico che determina il limite tra realtà e finzione e il rapporto con il pubblico, l’equilibrio tra attore e personaggio, la drammaturgia), per destrutturare e distruggere la rappresentazione teatrale, rimandando ogni volta a una realtà che trascende sia il mondo sensibile sia quello della finzione scenica. Non è un caso che sia per Fanny & Alexander sia per Magritte (che nel programma di sala di questo Ada funge da Leitmotiv visivo) la cornice - ovvero il limite che separare la rappresentazione dal mondo reale - sia in ogni caso il fulcro dell’operazione concettuale che si dispiega poi nell’opera, per aprire a una quinta dimensione, oltre lo spazio e il tempo.

In Ada, cronaca familiare Fanny & Alexander riprendono ed enfatizzano l’adesione alle regole implicite della rappresentazione e la loro disarticolazione che aveva segnato i precedenti lavori: da Ponti in core, fiaba goethiana d’amore e morte ambientata in un teatrino anatomico, dove la rappresentazione si dà dunque come dunque postuma, in una sorta di autopsia del teatro, a un Romeo e Giulietta che si poteva cogliere solo oltre un candido diaframma da macchina fotografica, fino al Requiem, ovvero il mito di Orfeo narrato alle soglie degli inferi in forma di opera.

Questa volta la scena è una stanza dalla carta da parati a strisce gialle, con la parete di fondo disseminata di cornici cieche: buchi e pertugi con evidenti rimandi erotici, oltre i quali ci dovrebbe essere il nulla, il vuoto e che invece innescano un meccanismo di seduzione e perversione del desiderio. A destra, oltre la quarta parete immaginaria del teatro naturalista, una sedia. Ci si accomoderà Luigi De Angelis, arrivando dalla platea, a costituire un doppio del pubblico, muto e immobile spettatore-ascoltatore delle presenze evocate da quello spazio. Perché quella stanza è animata da presenze vive e pulsanti, da un racconto, da una storia: quella dell’amore incestuoso tra Ada e Van, abitanti di un’altra galassia, di un’altra dimensione.

Attraverso quelle cornici emergono frammenti dei corpi dei protagonisti della vicenda: una bocca o un’orecchia, parole sperdute (diascalie...), immagini... Sono frammenti visivi e vocali di una vicenda dove riecheggiano le ossessioni care al gruppo ravennate: la fiaba dell’infanzia, il mito dell’incesto tra fratelli, il sottofondo ossessivo e pulsante dell’intreccio di amore e di morte.

In questo «cinema da camera» (e però sospeso anche tra romanzo, teatro e pittura) a innescare i meccanismi ossessivi di Fanny & Alexander è il romanzo sottilmente erotico di Vladimir Nabokov Ada (appunto), che narra l’amore sensuale e metafisico tra Ada, appunto, e Van, sbocciato fin dall’infanzia. Ed è come se, nel trasporre il romanzo su questa virtuosistica "non scena", dove tutto si coglie solo per frammenti feticisti e isterici, Fanny & Alexander avesse usato su Nabokov gli stessi metodi che lo scrittore russo-americano - grandissimo critico - applicava ai grandi capolavori della letteratura: in cerca di segni ricorrenti o rivelatori (sintomi). Ma per spostare subito questo metodo fuori dalla pagina scritta, fuori dal saggio critico, per restituirlo alla materialità, alla fisicità del teatro. Così come la lettura di Nabokov seziona i testi per coglierne frammenti di realtà, così Fanny & Alexander restituisce il testo per frammenti di corpo, di fisicità; e questi frammenti vengono trasformati dunque in segni, in linguaggio, innescando un gioco di seduzione prima intellettuale che carnale. Anche qui (per restare a una delle passioni di Nabokov, il suo amore tassonomico per le farfalle) con freddezza e lucidità da entomologo: per fissare e raggelare la forma vivente in uno sforzo di analisi che insieme è pulsione di morte.

La staticità cinematografica dello spettacolo (con la parete-schermo spezzata in diversi frame) è la conseguenza di questo radicale partito preso: il rifiuto della rappresentazione, lo slittamento della narrazione (della sua capacità di portare senso) in uno spazio "altro", che il rituale del teatro può evocare, l’ingranaggio di curiosità voyeuristica e frustrazione che condanna lo spettatore al suo ruolo.
Così Ada - primo appuntamento di un percorso in sette tappe dedicato al romanzo di Nabokov - sposta la rappresentazione e il racconto oltre lo spazio della scena, in un altrove irraggiungibile, che possiamo cogliere solo per schegge visive e vocali, che rimandano a una pienezza che possiamo solo evocare. Anche se è proprio in quella dimensione che, alla fine, Van-Luigi De Angelis approderà, compiendo il gesto sacrilego di entrare nella cornice, per rompere il tabù, e al tempo stesso annullarsi in quanto presenza reale. Accanto a lui, o meglio oltre la parete di fondo di questa Wunderkammer, in una macchina scenica di implacabile perfezione formale, offrono frammenti di sé Chiara Lagani, Paola Baldini, Marco Cavalcoli, e Sara Masotti.

       
       

Torna ad inizio pagina   Crudeli tentazioni d’infanzia
      Gianni Manzella, Il Manifesto, 8 luglio 2003
       
     

Si sale per antiche scale, lastricate di pietra e cotto. Si attraversano sale da soffitti affrescati che rivelano però il perdurare di una quotidianità domestica, all’interno del palazzo quattrocentesco adibito occasionalmente a “casa dell’arte”. Si siede di fronte alla parete di una stanza cieca, rivestita con una carta da parati giallina, costellata di cornici grandi e piccole ma tutte vuote.

Pochi oggetti, un antico strumento musicale, una seggiolina bassa su cui va sedersi un attore. Non si muoverà da lì, muto evocatore della vicenda. Il fondo di quattro cornici si apre a serranda, vi compaiono quattro bocche. Poi quattro occhi. Poi di nuovo le bocche. Parlano, con le parole ritagliate da un romanzo di Nabokov, mentre il rumore di un treno crea una illusoria ambientazione. Poche parole, poi si richiudono.

E’ una Wunderkammer, una camera delle meraviglie, lo spazio inventato da Fanny & Alexander per contenera la loro nuova creazione Ardis I, prodotta per il Ravenna Festival. Richiama certe immagini di Magritte, abissi di nuvole, cieli che aprono intorno all’iride nella pupilla di un occhio. Le cornici aperte si moltiplicano in maniera combinatoria. Rivelano frammenti ci corpi negati nella loro interezza, se non riprodotti in video. Un seno, una lingua, una mano che tenta di rompere quella prigione, si spinge fuori con un sigaro.

Altre volte vi compaiono ironiche didascalie, magrittiane anch’esse. Giochi di parole che coniugano insetti e incesti, nella lingua inglese è un perfetto anagramma. Due finestre più grandi si aprono su uno spazio retrostante dove si intravedono i due musicisti che accompagnano la visione, un pianoforte e un più raro strumento all’apparenza simile, dal suono magneticamente flautato, le ondes Martenot.

Il gruppo diretto da Luigi de Angelis e Chiara Lagani torna a confrontarsi con i misteriosi mondi dell’infanzia, con i suoi turbamenti e le sue crudeltà, in questo primo tratto dell’ambizioso percorso creato intorno a Ada. Sette tappe previste, per un frammentario attraversamento del romanzo che non aspira a restituirne la totalità (oltre a questa, al festival di Santarcangelo nei prossimi giorni sarà possibile vederne una seconda, la videoinstallazione Villa Venus).

Qui siamo all’infanzia anche della storia, lo sbocciare dell’amore dei due protagonisti Ada e Van, fratello e sorella. Le tentazioni, le promesse, i primi baci. Ardis Hall è il nome della mitica dimora che li accoglie, eden perduto nel momento in cui quel sentimento si ripresenta come ricordo, impossibile e pure incancellabile, passato e pure ossessivo presente. Dell’incendio erotico non resta che un’abbagliante nostalgia.

Cinema da camera, hanno ribattezzato Fanny & Alexander questo loro immobile teatro, privato di azione fisica che non sia quella evocata dalle parole, lo si potrebbe anche avvicinare a una sorta di dramma radiofonico, per la sua particolare qualità sonora.

Ma quel che più colpisce è in realtà proprio quell’immagine nascosta, visibile soltanto per parzialissimi squarci, quasi spiata di nascosto nel suo segreto. Come a dire che all’ardente romanzo d’amore ci si può accostare solo passando per strette fessure, provvisorie aperture. Accettando di precipitare nel suo buco nero. E quella frammentata immagine femminile, suddivisa e concentrata nelle zone facilmente collegate al desiderio, è quanto di più struggente e doloroso si possa immaginare, giacché coniuga lo sguardo miope di chi vi è accostato alla distanza che ora lo separa.

       
       
Torna ad inizio pagina   Gli abissi inquieti dell’adolescenza
      Renato Palazzi, Domenica, supplemento a Il Sole 24 Ore, 6 luglio 2003
       
     

Dopo un primo viaggio nei paradossi logici e nelle atmosfere stralunate dell’Alice attraverso lo specchio di Lewis Carroll, il giovane gruppo Fanny & Alexander torna sul tema delle ambiguità e delle insondabili inquietudini dell’adolescenza attingendo a un altro raffinato esploratore di questo universo torbidamente sfuggente, Vladimir Nabokov: Ardis I, ispirato ai capitoli iniziali del romanzo Ada, apre infatti uno stratificato percorso dentro un’opera che suggerisce insieme uno scintillante affresco famigliare, il racconto di una precoce passione incestuosa, e un’indiretta riflessione sull’arte e i suoi strumenti.

Il nodo segreto dell’amore tra la dodicenne protagonista e il quindicenne Van, che sono ufficialmente cugini, di fatto fratello e sorella, si svela infatti indirettamente, trapela per accenni, si fa strada nel lieve cicaleccio, nei giochi di parole, negli abbacinanti abbandoni naturali che caratterizzano il mondo di Ardis Hall, l’avita magione in cui nasce la storia: e proprio il clima sospeso della mitica casa si è voluto evocare ambientando lo spettacolo in un antico palazzo di Ravenna tuttora abitato, ricavandovi una stanza al tempo stesso vera e finta, un trompe l’oeil, una wunderkammer, un ingegnoso teatrino delle apparizioni.

Tra invenzioni di Nabokov e citazioni magrittiane, Ardis I – cui seguiranno altre sei “dimore” o tappe nella struttura del romanzo – non sviluppa dunque la vicenda in una rappresentazione compiuta, ma la frammenta, la riflette come in uno specchio rotto, ne fa una sorta di metafora della lettura al centro della quale non vi è il testo letto ma il lettore stesso: cos’altro incarna infatti il personaggio immobile su una minuscola seggiolina ai margini dello spazio, silenzioso spettatore di folate e spezzoni dell’intreccio, un po’ involontario voyeur e un po’ forse ideale proiezione di Van ormai cresciuto e investito dalla memoria?

Quanto ad Ada, alla sorella Lucette, alla serva Blanche, esse “esistono” dietro la parete, ma in virtù di una folgorante trovata se ne colgono solo delle singole parti anatomiche, occhi, bocche, orecchie che si manifestano e in un certo senso mostruosamente si dilatano dai pertugi di minuscole cornici appese al muro, come parti di un tutto inaccessibile, segmenti di un enigmatico paesaggio interiore che vive e si anima al di là delle superfici dei quadri. Altre cornici mostrano emblematici anagrammi (quale l’assai nabokoviano ‘insects-incests”), sequenze di vecchi film porno, immagini digitali dalle forti astrazioni simboliche.

L’aprirsi di due ulteriori “finestre” lascia a tratti intravedere i musicisti in azione: e proprio l’accompagnamento, con brani per pianoforte e ondes Martenot, è essenziale per fornire un intenso equivalente acustico del visionario “cinema da camera”. Voci, suoni, suggestioni sceniche convergono in un’impeccabile trama espressiva, cui forse manca solo un momento di più netta rottura stilistica che subentri a spiazzarne il fin troppo elegante disegno.

       
       
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      Franco Quadri, la Repubblica, 30 giugno 2003
       
     

Da sempre attratti dai segreti dell’infanzia e di un’innocenza ignara della propria naturale morbosità, i Fanny & Alexander sono inarrivabili quando se ne appropriano, fingendosene lontani, e conducono i loro spettatori tra le pieghe di situazioni enigmatiche.

E’ quel che avviene ora, in quella riserva di sacrari che è Ravenna, in una splendida magione con funzioni di Casa dell’Arte, dove il gruppo guidato da Luigi de Angelis e Chiara Lagani ha potuto inventarsi una stanza dentro un’altra stanza per ambientarvi Ardis I (Les Enfants maudits), prima delle sette puntate dedicata all’Ada di Vladimir Nabokov, si spera non destinate a realizzarsi tutte per non tradire il clima sospeso in cui rivive nel ricordo di Van il suo incontro con Ada, sorellina ritrovata, e il nascere della passione incestuosa di una vita.

In effetti il narratore muto è l’unico personaggio presente nella stanza, seduto su una seggiolina, a sprizzare dalla mente le parole registrate del racconto, tra il risonare delle musiche per pianoforte e gli effetti thrilling delle onde Martenot.

La camera cosparsa di segni magrittiani si muta in una boîte à surprise del pensiero, dove ogni quadro può animarsi di volti veri o d’immagini, e i minuscoli portaritratti possono diventare vere bocche, seni, sessi, in un magico gioco di specchi e di apparizioni che ci fa viaggiare da fermi in un percorso mentale a tratti palpabile, fino a ricrearci la suggestione di profumi del tempo usciti dal nostro inconscio.

       
     

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