Intransigenze
       
      In questo numero dedicato al gioco le intranzigenze toccano un punto cruciale che a suo modo è il limite estremo a cui si può giungere in questo campo: il punto di intersezione sottile che intercorre proprio nel terreno tra parola e azione, verba e acta. E' in questa intercapendine vertiginosa che sembra risiedere la potenza del gesto ludico più alto.
E non a caso di "vertigini" ci parla il saggio di Bartezzaghi, ma anche in Barton Johnson tra le prime parole usate per darci ragione delle mostruosità dello Scrabble nabokoviano, troviamo proprio "acrobazie", come se trattare l'infuocato ordigno dei giochi di parola fosse virtù perfetta di raro equilibrismo: chi ardisce sospendersi su quel vuoto immenso rischia l'ustione, quella più violentemente amorosa. E non a caso proprio d'amore finiscono per parlare i due saggi, di tutte quelle ustioni provocate dall'invisibile sostanza alchemica che si cela dietro alfabetici sigilli. E d'amore e di assenza (ma anche di inseguimenti, di relazioni potentissime coi contratti più estremi del gioco) ci parla anche l'opera di Sophie Calle, nel cui lavoro la visione (l'opera) si fonde con l'azione e quest'ultilma col suo racconto, infine l'esistenza con l'essenza, in un "doppio gioco" che rilancia all'infinito la vertigine scura da cui qui si parte e si ritorna.
       
     

VERTIGINI VERBALI
di Stefano Bartezzaghi

IL GIOCO DELLO SCARABEO IN ADA,
ovvero prendere Nabokov in modo clitorideo

di Don Barton Johnson

DOPPIO GIOCO (Sophie Calle)
di Alexandra Cristina Castillo-Kesper

       
     

VERTIGINI VERBALI

di Stefano Bartezzaghi

       
  immagine: disegno
di Louise Bourgeois
   
       
   

1.

Nel secondo cognome di Juan Caramuel de Lobkowitz è compresa la parola witz, come in funambolo è compreso l'inglese fun. Nato a Madrid nel 1606, morto nel 1682 a Vigevano, città di cui era vescovo dal 1673, Caramuel pubblicò in vita duecentosessanta opere (conteggio a cui aggiungere altre opere manoscritte, pubblicate postume), raccolte in settantasette volumi e dedicate a una notevole quantità di discipline diverse. Fra queste spiccava l'architettura: come teorico, Caramuel scrisse molto male del colonnato di Bernini; come architetto sistemò la piazza di Vigevano e disegnò la famosa facciata del Duomo.
Come chiarisce padre Giovanni Pozzi ("Il Caramuel e la metrica artificiosa", La parola dipinta, Adelphi, Milano 1981) l'eclettismo di personaggi come Caramuel è fondato su un'idea combinatoria del sapere. Concetti, nozioni, elementi di ogni campo del sapere sono interscambiabili e il sapiente deve allora dominare quelle discipline che si occupano delle combinazioni fra i diversi campi: la logica, la linguistica, la matematica, "concepite come arti della conversione" (Pozzi): ma anche il gioco delle carte, l'anagrammatica, la mnemotecnica. L'apporto personale di Caramuel a questo orizzonte è costituito dalla "Metametrica", a cui intitolò un enorme e caotico repertorio, pubblicato in volume nel 1663: la disposizione delle sillabe delle poesie diventa una scienza astratta, di impronta grafica più che fonetica ("Potentior lingua calamus", è più potente la penna della lingua), che sovrappone percorsi di lettura orizzontali, verticali, diagonali, combinati, trasformando così l'andamento lineare del testo in un labirinto di sensi, doppi sensi, polisensi. Allo stesso modo in cui la materia prima ne forma molte altre e da ogni creatura ne nascono altre, così l'anagramma genera nuove formazioni linguistiche: un testo come l'inno di sant'Ambrogio e sant'Agostino "in atto ha una forma, in potenza ne ha mille".
Questa visione mutevole, metamorfica della poesia porta con sé un principio dinamico che Caramuel riassume in una formula di grande bellezza ermetica:

Ergo praecedentis Apollinis impetu fluxerunt et refluxerunt carmina; modo surgunt, descendunt, volant, ruunt.
(Dunque con la spinta del precedente Apollo le poesie sono fluite e rifluite; di volta in volta salgono, scendono, volano, precipitano).

2.

Il lettore di Fuoco pallido di Vladimir Nabokov deve percorrere in più direzioni il testo, andando dal poemetto al commento e tornando dal commento al poemetto. Il lettore di Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau deve agire sulle pagine, tagliate in strisce per comporre uno dei sonetti compossibili. Il Juego de cartas di Max Aub (il titolo significa sia "mazzo di carte" che "gioco di epistolario") è un'opera letteraria che non si rivolge a un lettore ma a un gruppo di giocatori: è un mazzo di carte, su ognuna delle quali è stampato il testo di una lettera postale. Tutto il carteggio, che si svolge fra diversi mittenti e destinatari, parlano di un solo personaggio, che è scomparso. Le carte vengono distribuite fra i giocatori per una vera e propria partita di carte, che sarà vinta da colui che indovina chi è il personaggio misterioso.

3.

Nella nostra visione del discorso (a partire dalla stessa etimologia della parola discorso: correre di qua e di là), questo è un filo che si dipana con regolarità, un'andatura che va mantenuta fluida, sciolta, senza inciampi.
Nel discorso il gioco interviene come una contestazione: smentisce l'unicità della direzione, mostra i fili nascosti, annoda sensi alternativi, collega nodi che dovrebbero restare separati.
La dimensione lineare ora diventa un piano e un volume: il discorso non procede più passo per passo ma può "salire, scendere, volare, precipitare".

4.

A volte l'energia cinetica del discorso si concentra in un solo punto, e questo punto è il motto di spirito.
"Io vi devo la verità in pittura, e ve la darò". Il motto enigmatico di Paul Cézanne è stato analizzato da Jacques Derrida che ne ha mostrato alcune diverse interpretazioni possibili. Nessuna prevale definitivamente fra le altre, e non è necessario privilegiarne una. Quando un'affermazione si costituisce in motto di spirito, il suo modo di significare diventa un campo di tensioni all'interno del quale la pluralità dei sensi scatena le sue energie:

Senza dubbio il motto agisce da passe-partout. Circola velocemente tra i suoi possibili. Con agilità sconcertante sposta i suoi accenti o la sua punteggiatura nascosta, potenzializza, formalizza, economizza discorsi enormi, moltiplica tra di loro le trattazioni, le transazioni, il trapianto, la condizione parassitaria.
(Jacques Derrida, La vérité en peinture , Flammarion, Paris, 1978)

5.

La descrizione letteraria più impressionante della vertigine di un gioco di linguaggio collega due punti molto distanti nel tempo della Recherche proustiana.

Tempo uno
a. Inizio del secondo volume della Recherche. Il narratore innamorato senza speranza di Gilberte riceve una lettera inattesa a firma di lei.
b. Subito dopo, in un inciso apparentemente divagatorio: " Françoise si rifiutò di riconoscere il nome di Gilberte, perché la G istoriata e addossata a una I senza puntino sembrava una A, mentre l'ultima sillaba era indefinitamente prolungata grazie a un frastagliato ghirigoro".

Tempo due
c. Sesto volume: Albertine, amata dal narratore, è morta, cadendo da cavallo. Marcel è a Venezia, la sta dimenticando e paragona questo oblio all'affievolirsi dell'amore adolescenziale per Gilberte.
d. A Venezia riceve un telegramma dal seguente testo.

AMICO MIO VOI MI CREDETE MORTA, PERDONATEMI, SONO VIVISSIMA. VORREI VEDERVI, PARLARE DI MATRIMONIO, QUANDO TORNATE? TENERAMENTE. ALBERTINE.

e. Qualche pagina dopo:

Il telegramma che avevo ricevuto pochi giorni prima e che avevo creduto di Albertine, era di Gilberte. […] era del tutto naturale che l'impiegato del telegrafo avesse letto i riccioli delle s o delle y della riga superiore come un ine alla fine della parola Gilberte […]. Quanto alla sua G, aveva l'aspetto di una A gotica.

Gilberte, che il narratore non vedeva da tempo, intende parlargli del proprio matrimonio, e usa in modo iperbolico l'espressione "mi credete morta", senza ovviamente poter immaginare che la propria firma possa essere mal interpretata e che ciò pervertirà completamente il senso del telegramma.
Dal punto di vista del gioco linguistico, qui abbiamo una rara forma di artificio basato sul tratteggio grafico.
Dal punto di vista del gioco narrativo, lo scambio di nomi rientra nelle tematiche proustiane del nome e della metamorfosi dell'identità personale.
Dal punto di vista generale e letterario, il gioco ha la funzione plateale di smascheramento della strategia dell'autore. Il lettore che interrompe la lettura del sesto volume (tempo due), e ritorna al secondo (tempo uno) è premiato dalla stupefacente sfrontatezza con cui l'autore ha costruito la trappola per il narratore Marcel, per il lettore, e anche per se stesso. Materialmente la trappola è preparata dalla mislettura di Françoise, che ha già trasformato la firma di Gilberte in quella di un'ancora potenziale Albertine (il gruppo G-i che può sembrare una A, l'ultima sillaba che si prolunga in un ghirigoro).
Dal punto di vista dell'effetto del gioco, il narratore adolescente è stordito dall'arrivo di una lettera dell'amata. Saprà solo in un secondo tempo (proprio al tempo due, nel sesto volume) che anche Gilberte lo amava, per ora pensa di esserle indifferente e la lettera (che contiene un invito) è la prova materiale che sposta sul piano della realtà quel che lui per ora ha vissuto solo sul piano dell'immaginazione. L'espressione di questo stato colpisce in modo diverso il lettore che sta leggendo il secondo volume, e il lettore che invece lo rilegge, ritornandoci dal sesto:

Con velocità vertiginosa, quella firma inverosimile giocava ai quattro cantoni con il mio letto, il mio camino, le pareti della mia stanza. Vedevo ogni cosa vacillare, come uno che cade da cavallo, e mi chiedevo se non ci fosse un'esistenza completamente diversa da quella che conoscevo, che contrastasse con essa ma, fra le due, fosse la vera, un'esistenza che apparendomi all'improvviso mi riempiva dell'esitazione che gli scultori, nel raffigurare il Giudizio universale, hanno attribuito ai morti risuscitati che si affacciano alle soglie dell'altro Mondo.
(corsivi miei)

Chi legge della lettera di Gilberte senza saper nulla di Albertine non può prendere la metafora della caduta da cavallo e l'evocazione della resurrezione per quel che sono: prefigurazioni dell'episodio di Albertine, arcate di un ponte che collega il tempo uno al tempo due, annodando indissolubilmente due donne, due amori, due matrimoni, una morte metaforica e una morte reale attraverso un groviglio di scrittura.

6.

Resta la "velocità vertiginosa" con cui la firma dell'amata riempie la stanza del destinatario, che ci ricorda l'"agilità sconcertante" del motto di Cézanne e i voli a strapiombo delle poesie di Caramuel.
In questo funambolismo della parola e del discorso, nell'energia cinetica che la parola giocata sa liberare sta forse la possibilità di vedere in un modo relativamente nuovo il gioco delle parole.
Il gioco di parole è definito speso come "bisticcio": bis dicere. È la cacofonia delle sillabe che si ripetono, e di cui ci si scusa con l'uditorio; la rima involontaria; il simile che si incontra con il simile, provocando un inciampo al fluire del discorso. Le parole che si assomigliano non vanno d'accordo, producono una "cacofonia", litigano fra loro. Nella didattica della scrittura a volte il fenomeno dell'elisione viene spiegato agli scolari come una zuffa fra vocali che si incontrano, una delle quali soccombe e deve andarsene lasciando sulla pagina una lacrima: l'apostrofo.
L'idea del gioco come agonismo fra le parole è in realtà sterile. Non è l'agonismo delle parole, né il loro aleatorio o la loro maschera che possono definire il loro gioco: è la vertigine. Quello che Caramuel, Derrida e Proust mostrano è che il gioco fa muovere le parole, fino a confondere i sensi, far comunicare tempi e spazi lontani, rendere fantasmatiche le apparenze. Ogni discorso sul gioco, ogni discorso, deve ricominciare da questa vertigine.

       
 

  Stefano Bartezzaghi, è enigmista e studioso del linguaggio, collaboratore del quotidiano la Repubblica per cui cura, fra le altre cose, la rubrica quotidiana "Lessico e Nuvole";è autore di importanti saggi quali "Lezioni di enigmistica" (Einaudi, 2001) e "Incontri con la Sfinge" (Einaudi, 2004).
Il breve saggio qui pubblicato è stato scritto per Ardis Monthly, ed è inedito.
       
     

IL GIOCO DELLO SCRABBLE IN ADA
Ovvero prendere Nabokov in modo clitorideo

di Don Barton Johnson

(traduzione Laura Miccoli)

       
  immagine:
Emmett Williams,
The Clouds (1954-55
)
   
       
   

Con i pensieri del nostro subconscio profondo ci dilettiamo raramente
Ma qualcosa deve guidare
Le parole che diciamo
Quando stiamo giocando a “Scrabble.”

(Noël Coward, “Bronxville Darby and Joan”)


I giochi sono essenziali nella visione che Nabokov ha dell’arte. (1) I suoi meriti come creatore di problemi scacchistici e come ideatore della krestoslovica, le parole crociate russe, sono ben noti. (2) Nelle sue interviste ha ripetutamente sottolineato sia il piacere estetico dell’invenzione e della composizione del gioco, sia la sua parentela con la creazione e il godimento dell’opera d’arte - in particolare la propria. (3) L’analogia non è interamente metaforica, dal momento che molti dei lavori di Nabokov, oltre alle strategie di gioco impiegate come criterio compositivo, includono apertamente veri e propri giochi. Nonostante gli scacchi giochino un ruolo rilevante in un racconto, La difesa di Luzin, e ne ispirino altri in maniera minore, i giochi di parola, in virtù della loro stessa natura, sono più centrali nell’arte di Nabokov. Le “acrobazie verbali” di Nabokov spaziano dal gioco di lettere iconiche attraverso anagrammi, spoonerism, e pun a giochi più o meno formalizzati come il Word Golf e lo Scrabble. (4) Benchè Nabokov utilizzi spesso i giochi di parola come ornamenti votati al divertimento accidentale del lettore, i giochi vengono talvolta usati per approfondire la conoscenza dei personaggi o del tema, o per segnalare svolte enigmatiche ma cruciali della trama. In Fuoco Pallido, ad esempio, la vittoria di Kinbote/Botkin nel gioco del Word Golf, in cui egli trasforma LASS (giovane donna) in MALE (maschio) in quattro mosse, è un’allusione ironica alle sue preferenze sessuali. Tra tutte le opere di Nabokov, il più prolifico di giochi di parole è Ada. (5) I temi principali del libro sono racchiusi in una sorta di gioco di parole ricorrente che potrebbe essere riassunto nel ritornello “Ada is scient of incests and the nicest insects” (“Ada è un’esperta di incesti e degli insetti più belli”). Nonostante il racconto sia permeato di pirotecnie verbali delle specie più diverse, la sequenza più intensa e sostenuta di gioco di parole tematico è centrata attorno al gioco dello “Scrabble”.
Durante la prima estate idilliaca ad Ardis, i bambini Veen, Ada, Van e Lucette, vengono descritti alle prese con un decorato Flavita russo. (6) Ada si dimostra un’appassionata e insaziabile giocatrice di Scrabble, mentre Van, giocatore di scacchi di primo livello, (7) è un giocatore di Scrabble indifferente. Van, che una volta adulto diventerà un parapsicologo, trova il gioco interessante solo relativamente a quelle parole che, comparendo nel corso del gioco, talvolta sembrano avere una misteriosa rilevanza nelle vite dei giocatori. Il gioco permette di “riuscire a intravedere il rivestimento interno del tempo” che, come Van scrive di seguito, “è la migliore definizione informale dei prodigi e delle profezie” (227). Tale fenomeno va considerato sia sul piano della banalità dei fatti, come quando dalle letterine di Ada viene fuori (in forma disordinata) il termine russo KEROSIN mentre si sta parlando di una lampada al kerosene e, più attentamente, sul piano tematico. Tuttavia, è necessario notare che, relativamente a ciò che accade tradizionalmente nel caso delle profezie, qui l'angramma è un oracolo in forma enigmatica.
Il sesso è un tema di grande rilevanza in Ada di Nabokov. Il primo ambito per la realizzazione del tema è la relazione tra Van e Ada, che costituisce il più importante filo conduttore nella trama del racconto. Esiste, comunque, una seconda linea narrativa forte che esprime ugualmente il tema. Si tratta dell’ossessione sessuale di Lucette per Van. Nonostante Van sia fortemente attratto dalla sorellastra Lucette, non contraccambia la passione di lei e si sforza di evitare un ulteriore legame incestuoso. Tutti gli incontri tra Lucette e Van sono caratterizzati da una forte carica erotica e la continuazione del gioco dello Scrabble diventa il contesto per un motivo anagrammatico che riecheggia il tema della ossessione passionale di Lucette per il fratellastro.
Il motivo dello Scrabble viene più dettagliatamente presentato in due capitoli (I-36 e II-5) separati da ca. 130 pagine piuttosto inusuali in cui si svolgono otto anni delle vite dei protagonisti. I capitoli sono anche tematicamente collegati dal loro focalizzarsi sulla vana speranza di Lucette di avere un ruolo nel triangolo sessuale di famiglia. Il primo dei due capitoli contiene la scena del gioco dello Scrabble con il punteggio vincente di Ada ottenuto con una sola mossa e termina con la perdente Lucette in lacrime perché Ada e Van la costringono ad andare a dormire prima, in modo tale da potersi intrattenere con altri passatempi. A dispetto dei suoi otto anni Lucette capisce bene perché i due amanti sono così ansiosi di rimanere da soli. L’ultimo dei due capitoli sullo Scrabble contiene una conversazione tra Van e Lucette (ora sedicenne) nell’appartamento di Van presso l’Università di Chose dove lui è, a suo stesso dire, un “assistente lascivo.” Infuriato a causa delle infedeltà di Ada, Van non ha rivisto nessuna delle due ragazze per quattro anni durante i quali le due, tra le altre cose, hanno avuto una relazione lesbica tra di loro. Ora, tramite Lucette, Ada ha inviato un messaggio per implorare il perdono di Van. Lucette, la quale ha dichiarato il proprio amore per Van in una lettera precedente, sfrutta il pretesto della consegna del messaggio di Ada per tentare di sedurlo. E cerca lungamente di far ciò imitando il modo di parlare e di atteggiarsi di Ada, nononstante voglia anche suscitare la gelosia di Van attraverso il suo racconto degli altri amanti di Ada e della relazione della stessa con lei. Van, anche se eroticamente stimolato dalla tattica della sua visitatrice, è troppo preso dalla possibilità di un suo ricongiungimento con Ada per rispondere ai trucchi di Lucette. In entrambi i capitoli lo Scrabble funge da campo da gioco per l’espressione dell’ossessione sessuale di Lucette per Van, e le profezie anagrammatiche che emergono nel corso delle partite avvengono tutte all’interno dei turni di Lucette.
Il primo presagio tematico si presenta durante una partita che ha luogo in un giorno cruciale, nel luglio del 1884:


…nel vano della finestra della biblioteca, in una sera di temporale (poche ore prima che il fienile andasse in fiamme), le tessere di Lucette lette in successione formavano la divertente parola “vaniada”, dalla quale lei ricavò il termine che indicava proprio l’oggetto al quale con una vocina querula stava per riferirsi: “Ma anche a me forse piacerebbe stare seduta sul divan” (241: n.d.r. i numeri di pagina si riferiscono all'edizione italiana, nella trad. di Margherita Crepax, Adelphi, 2000)


La suggestiva sequenza di Lucette VAN I ADA (“i” è il russo per “e”) si riferisce anche al divano nero con i cuscini gialli, su cui Van e Ada sono seduti, e su cui i due bambini faranno l’amore per la prima volta poco più tardi, quella stessa notte, mentre il fienile brucia (I-19). Non meno importante dal punto di vista di Lucette è che il divano da cui viene esclusa segnala il tema del suo amore non corrisposto per Van. Il divano diventa un motivo di sfondo in molte delle successive conversazioni tra Van e Lucette. La prima di esse ha luogo nell’appartamento di Van otto anni più tardi e l’ultima a Lute (Parigi), appena prima del viaggio per mare che termina con il suicidio di Lucette, a seguito del brutale ed estremo rifiuto da parte di Van. Lei lo implora “Oh, provami, Van! Il mio divano è nero coi cuscini gialli!” (479). Non è un caso che il termine “divano” contenga mescolate le lettere dei nomi di Van e Ada ma non quelle di Lucette. (8)
In una partita successiva, quella in cui Ada ottiene il suo record, Lucette esamina senza speranze il miscuglio delle caselline delle lettere prima del suo lamento “Je ne peux rien faire, …mais rien - con le mie idiote Buchstaben, REMLINK, LINKREM…” (242). La proposta di KREMLIN viene respinta perché non è un termine russo, e su suggerimento di Van Lucette opta per KREMLI “prigioni dello Yukon” che deve passare attraverso la ORHIDEYa, “orchidea”, di Ada. Le orchidee sono un motivo costantemente associato ad Ada e, come molti critici hanno sostenuto, hanno una connotazione chiaramente sessuale. (9) Etimologicamente la parola deriva dal termine greco per “testicolo” (cosa a cui si allude nel romanzo) e più specificatamente nel contesto del libro è usata come metafora per “vagina.” L’ottantenne narratore Van che ricrea il suo primo incontro sessuale con Ada sul famoso divano ricorda che la sua “impaziente passione non sopravvisse alle prime poche spinte cieche: proruppe sul labello dell’orchidea…” (136).(10) Nessuno dei partecipanti alla partita di Scrabble si accorge che le caselline delle lettere di Lucette formano anche il termine arcano MERKIN (con una “L” in più che sta per Lucette) che significa “pudendrum.” (11) Senza dubbio sembrerebbe improbabile considerare questo legame anagrammatico tra il MERKIN di Lucette e la ORHIDEYa di Ada come un presagio della loro successiva relazione sessuale e anche della ossessione di Lucette per Van, o come qualcosa che non faccia parte di un espediente per lo sviluppo della scena. È inoltre da tenere in considerazione che il lettore è stato avvertito del fatto che l’interesse di Van per lo Scrabble si focalizza in particolare su coincidenze di questo tipo.
Un’altra partita a Scrabble dell’infanzia viene raccontata da Lucette molti anni dopo durante la sua visita a Van. (12) Lucette è sia più giovane, sia molto meno brillante dei suoi Wunderkind fratelli, e per far progredire il gioco Van la aiuta spesso quando è il suo turno. Di un’occasione di questo tipo Lucette ricorda:

Tu hai guardato il mio listello con la scanalatura e con le dita hai ordinato le lettere che io avevo messo a caso, qualcosa come “LIKROT” o “ROTIKL”, e Ada, china sopra le nostre teste, ci ha inondato della sua seta corvina. Appena hai composto la parola, tu e lei, simultaneamente, si je puis le mettre comme ça (espressione franco-canadese), vi siete buttati sul tappeto nero in un parossismo di ilarità assolutamente incomprensibile; alla fine io, in silenzio, ho ricomposto la parola “ROTIK” (piccola bocca) e la povera iniziale del mio nome mi è rimasta in mano. (392-3)

Le allusioni in questo passo sono, come le larve di Ada, striscianti, benchè alcune siano più ovvie di altre. A parte il listello preso in mano della parte introduttiva, il ROTIK, la “piccola bocca” di Lucette, potrebbe sembrare innocente, mentre non è lo stesso per il russo KLITOR, “clitoride” che si nasconde dietro il volgarismo bilingue LI(C)KROT ed il suo diminutivo ROTIK-L. Ogni dubbio scompare di fronte al giudizio di Van che “un giocatore di Scrabble inglese che si interessasse di medicina e con due lettere di più a disposizione avrebbe potuto, per esempio, comporre la parola “STIRCOIL”, un noto stimolante delle ghiandole sudoripare, o “CITROILS”, che i mozzi di stalla usano per strofinare le puledre” (393). Le prove sono abbondanti sia per quel che riguarda il doppio significato di “stallieri” e di “puledre”, sia, in forma più sottile, nella frase “stimolante delle ghiandole sudoripare.” Le ghiandole (dal latino glans, glandis “ghianda” o “ghiandola”) che vengono stimolate sono la ghiandola clitoride e la ghiandola del pene, le quali divengono il tema di un succedersi di giochi di parole multilingue, anagrammatici e non, che pervadono il dialogo tra Van e Lucette.
Van prevede e insieme teme una visita di Lucette, perché ha la sensazione che questo incontro scatenerà, come egli stesso dice, “vampe infernali.” Lucette, assomigliando ad Ada nell’atteggiamento, rappresenta un oggetto di intenso desiderio sessuale per Van. (13) Lucette entra nell’appartamento, con la sua bocca rossa che si dischiude lasciando intravedere la lingua e i denti pronti per un bacio di benvenuto che segnerà, lei spera, l’inizio di una nuova vita per entrambi. Il cauto Van svia l’imminente bacio di lei con l'esclamezione : “Il pomello”. In risposta, Lucette, in modo un po’ confuso, mormora “Preferisci gli skeletki (scheletrini)” non appena Van accosta le labbra leggere “sulla dura e calda pommette della sua sorellastra” (381). Perché Van dovrebbe preferire gli “scheletrini”? (14) Da una parte skeletki è ripreso dal “bone” (osso) di “cheekbone” (pomello, zigomo), ma dato il motivo sessuale della scena, non c’è dubbio che skeletki è, nello Scrabble, un anagramma per sekel’, il termine volgare russo per ghiandola clitoride. “Pommette”, oltre ad essere il termine francese per “zigomo”, significa anche “un piccolo pomo come quello che si trova all’estremità del manico di spada di una croce pommeé.” Da notare che quest’ultima allusione preannuncia tutto il motivo della krestik (“crosslet”, piccola croce)- kissing (baciare) della conversazione seguente.
Il gioco di parole continua. Segue un nervoso scambio di notizie familiari in cui Lucette utilizza un numero inverosimile di sibilanti, e Van rimprovera le cadute di stile di lei dicendole “Non vogliamo serpentelli intorno a noi!” (383). Lucette replica, “Questo serpentello non sa come comportarsi con il dottor V.V. Sezionatore. Non sei minimamente cambiato, mio pallido tesoro, solo che sembri un fantasma che ha bisogno di farsi la barba, senza il tuo estivo Glanz.” A queste parole Van aggiunge mentalmente “E senza la nostra estiva Mädel”, riferendosi ad Ada. L’iconico V. V. -sector non ha bisogno di commenti, ma il riferimento alla Glanz non è così ovvio. La famiglia Veen trascorre quasi del tutto casualmente dall’inglese, al russo, e al francese, ma non al tedesco. Glanz, il termine tedesco per “riflesso” si riferisce non al pallore di Van, ma al termine medico “glans” (ghiandola), che è il modo in cui un lettore inglese che non sa il tedesco pronuncerebbe la parola. (15)
La battaglia di Lucette per spodestare Ada dal letto di Van richiede il tentativo di suscitare il disgusto di Van attraverso un resoconto dettagliato della seduzione di Lucette da parte di Ada, la cui versatilità sessuale non è meno impressionante dell'attitudine alla promiscuità che la caratterizza. Lucette sferra il suo attacco domandando a Van se Ada gli ha mai scritto di quello che loro due chiamavano “schiacciare la molla.” Lucette inizia la spiegazione prendendola alla larga e ricordando a Van uno scrittoio o scrivania che stava ai piedi del divano VANIADA nella libreria di Ardis. Lucette racconta di come le ragazze stimolavano Van per trovare e “far scattare l’orgasmo o chiamalo come vuoi” (386). Van alla fine trova una “rotellina scorrevole”, la spinge, e ne esce fuori uno scomparto segreto. In esso c’è un “minuscolo pedone rosso” (388) che Lucette conserva ancora come souvenir. L’evento, lei dice, “pre-emblematizzava” la sua relazione con Ada in cui “eravamo acrobate Mongole, disegnavamo monogrammi, anagrammi, adalucinde. Lei baciava il mio krestik mentre io baciavo il suo” (389). Van la interrompe maliziosamente per chiedere il significato della parola. Si chiede se sia stia per il piccolo amuleto o pedone rosso nello scomparto segreto dello scrittoio. Forse una decorazione, “una piccola ghianda di corallo, la glandulella delle vestali nell’antica Roma?” (391). I racconti sugli equipaggiamenti delle vestali non menzionano un simile ornamento, ma la parola in sè è il diminutivo latino dell’onnipresente glans-glandis, “ghianda” che, per la sua rassomiglianza fisica, indica anche i corrispondenti organi sessuali.
Con l’introduzione del motivo della krest/krestik “croce”, passiamo da una furtiva permutazione di termini sessuali reali a una serie di simboli sessuali ampiamente ideati dallo stesso Nabokov. (16) Quando Van ricambia riluttante l’abbraccio di benvenuto di Lucette, respira il suo “profumo di Degrasse” (eau de grasse) e attraverso questo “la fiamma del suo Petit Larousse”. Accarezzando la sua testa rossiccia Van capisce di non poter toccare “il rame che stava in alto senza pensare subito alla piccola volpe più in basso e alle braci gemelle” (382). “La croce (krest) della rossa (rousse) più accurata. Le sue quattro punte brucianti” (382). La visione delle “quattro braci di una croce volpina” tormenta Van durante la conversazione e permea il suo linguaggio in molte forme. Il sottotema sessuale della croce sfiora il blasfemo in un passo in cui Van tormenta viziosamente Lucette riguardo al significato della sua (e di Ada) parola segreta: krestik (392). “Certo! Ora mi ricordo.”, dice Van. “Una sozzura al singolare può diventare un segno sacro al plurale. Naturalmente, ti riferisci alle stimmate tra le sopracciglia di giovani suore malaticce che preti zelanti ungevano esageratamente là e altrove con dei segni di croce, usando un pennello intinto nella mirra.” Il tema della krestik (piccola croce-clitoride) viene anche riecheggiato in modo anagrammatico nella descrizione delle partite a Scrabble. In una delle prime partite Lucette riceve le sue prime sette letterine e le ripone sulla “sua spektrik (il piccolo contenitore di legno laccato che ogni giocatore aveva davanti ha sé)” (240). Questo avviene certamente prima dell’introduzione del tema della krestik, ma la successiva descrizione dello Scrabble (citata sopra) in cui Van maneggia il listello di Lucette mentre ridistribuisce le letterine per aiutarla, non lascia dubbi che la spektrik di Lucette altro non è che un’occulto anagramma di krestik. Krests appare anche in forma anagrammatica nel riferimento di Lucette a un album di arte di Forbidden Masterpieces che la bambina trova, cosa abbastanza appropriata, in una scatola di “korsetov i khrestomatiy (corsetti e crestomazie)” (390).
Il motivo del krest rientra anche in un’altra dimensione linguistica nella sua incarnazione inglese dell’ultimo capitolo. Quando Van arriva in una cittadina svizzera nel 1905, prima di un finale ricongiungimento con Ada, il nome della località, Mont Roux, gli riporta alla mente che “la nostra piccola rossa è morta” (523). Guardandosi attorno, vede nel paesaggio i colori associati a Lucette (rossiccio e verde) e ad Ada (nero e bianco). “Mount Russet e il bosco sulla collina alle spalle della città non smentivano il loro nome e la loro reputazione autunnale con un tiepido barbaglio di castagni ricciuti; e sulla riva opposta del Lemano, Leman vuol dire l’amante, si stagliava in lontananza la cresta del Sex Noir, cima nera e rocciosa.” (523) La nerezza della cresta inferiore di Ada era già stata stabilita da Lucette nel racconto dei loro intrattenimenti lesbici, quando descrive la sorella come “un sogno di bellezza bianca e nera, pour cogner une fraise, con dei tocchi di fragola in quattro punti, una simmetrica regina di cuori” (389). (17) Di conseguenza, la russa krest, “croce”, con i tizzoni rossicci si trasforma nell’inglese crest, “cresta” impellicciata del Sex Noir di Ada. Non per niente Nabokov è il padre della russa krestoslovica.
I quattro tizzoni brucianti della croce/krest diventano uno dei motivi di fondo di Lucette per tutto il capitolo e per gran parte del libro. L’immagine persistente che Van ha di Lucette in questi termini finisce a partire dal giorno della sua prima estate ad Ardis quando Van e Ada, in cerca di qualche minuto di intimità, rinchiudono la piccola Lucette, di otto anni, nel proprio bagno. Van nota che “nel cavo delle ascelle le si vedeva un intreccio leggero di fili di seta lucente e il suo ponticello aveva una spolveratura color rame” (159). Questa scena rappresenta per Van un inconscio point de repère mentre nota la nuova maturità sessuale di Lucette. Stimolato, capisce che non l’ha mai conosciuta a fondo se non come “l’embrione di una brace ardente” (381). Questa immagine influenza la conversazione anche in un altro modo, perché è curiosamente permeata di parole che contengono la sequenza EMB: ember (tizzone), embryo (embrione), emblazed (illuminare), embrasure (rientranza), embrace (abbraccio), pre-emblematize (pre-emblematizzare), november (novembre), e così via. L’associazione di questa sequenza con Lucette non si ferma ad una sola scena. (18) Dopo che Van e Ada si ricongiungono temporaneamente grazie alla mediazione imprevista di Lucette, il fratello e la sorella trascinano la riluttante Lucette in un triangolo sessuale. Quando Lucette, terribilmente frustrata, scappa, Van le scrive un biglietto scusandosi per aver avvilito “la nostra Esmeralda e sirena in una brutta birichinata” e ribadisce che “davanti alle rimembranze, alle braci e alle membrane della bellezza gli artisti e gli imbecilli perdono il controllo” (435).
Anche altre parole assumono una connotazione sessuale nel contesto del capitolo. Possono scaturire doppi sensi dall’innocuo termine francese cas, “caso”. Dopo che Lucette identifica giustamente una allusione a Bergson, “l’assistente libertino” Van Veen si offre di ricompensarla con “un sette meno dans ton petit cas”, o, in alternativa, con “un bacio sul tuo krestik - qualunque cosa sia” (391). Il successivo racconto di Lucette sulle infedeltà di Ada suscita il commento di Van: “è un caso clinico avvincente e palpitante” (395). Un ultimo gioco di parole di questo genere avviene durante il pranzo finale tra Van e Lucette a bordo del transatlantico, appena prima del rifiuto estremo di Van e del suicidio di lei. Durante il pasto, Lucette, avendo la sensazione che Van sia sul punto di cedere alle sue suppliche, continua ad imitare Ada. Il Dr. Veen, cercando di distrarre Lucette, parla del caso di uno dei suoi pazienti. Il suo tentativo è, tuttavia, vano, dal momento che “un altro caso (un altro cas, destino) purtroppo, aveva attirato la sua attenzione sulla questione subverbale” (499). Una controparte maschile all’obiezione sul cas di Lucette si ritroverà in una situazione successiva in cui lei cerca di spingere Van in un abbraccio sempre più profondo. Van respinge le dita esploratrici di lei e mantien salda la sua intenzione di non complicare ulteriormente la propria vita amorosa già incestuosa. In tono accusatorio Lucette dice “… ti sei spinto in là con me più di una volta, anche quando ero una bambina; rifiutarti adesso di andare oltre è solo una scappatoia” (482). Gli attributi di Van sono meritevoli di ulteriore attenzione quando lui si eccita al pensiero del “petit cas” di Lucette. La sua “condizione” lo porta alla riflessione immediata che “Un sinonimo di “condizione” è “stato”, e l’aggettivo “umano” ha origine dalla parola “uomo”, e che per questo “Lowden ha recentemente tradotto il titolo del modesto romanzo del malheureux Pompier La Condition Humaine(19) (391).
Il discorso di Van contiene almeno altre due parole molto sospette, ma prive di sbocchi, allusioni bilingui al motivo tematico del capitolo. Lucette ha appena fatto riferimento al divano nella libreria. Ricorda che alle sue spalle c’era l’armadio a muro in cui Van e Ada l’avevano chiusa durante i loro ébats sul divano. (20) Van ribatte che nell’armadio a muro non c’era “la chiave e il buco della serratura era grande come l’occhio di Kant” e aggiunge, per inciso, che “Kant era famoso perla sua iride color cetriolo” (387). A livello superficiale questa frase piuttosto insolita è un chiaro riferimento all’occhio verde di Lucette che spia attraverso la serratura dello stanzino. Nascosto nello sfondo fonetico, invece, c’è il pensiero vago che la pronuncia francese di Kant [kã] è un omofono vicino a con [kõ] e che l’insolita locuzione “cucumicolor iris” (iride color cetriolo) contiene, ad eccezione della “t” recuperata nel precedente “Kant”, tutte le lettere dell’onnipresente “clitoris” (clitoride). Allo stesso modo alcune altre associazioni evanescenti circondano un certo Dottor Coniglietto. Van, momentaneamente preso dal rimorso per i suoi abusi su Lucette, invoca il suo perdono, dicendo “Sono malato. Da quattro anni soffro di consanguineocanceroformia, una malattia misteriosa decritta da Coniglietto.” (393). Coniglietto è uno dei sei dottori in Ada accomunati dal loro cognome leporino: il franco-svizzero Lapiner (Alpiner), il russo Krolik, il tedesco Seitz (uguale al russo zajats “lepre”), il francese Lagosse, e un certo Dr. Nikulinov russo (corrispondente del latino cuniculus). Il nome del Dr. Coniglietto è di particolare interesse nel contesto tematico del capitolo a causa della sua parziale somiglianza fonetica con il termine arcaico inglese per “coniglio”-“cony” o “cunny” (dal latino cuniculus), che significava anche “pudendrum femminile”, apparentemente per il suo essere simile ai derivati del latino cunnus, “vulva”. (21) Lo scambio verbale tra Van e Lucette mostra almeno un ulteriore e molto meno problematico gioco di parole multilingue dello stesso genere. Durante il loro flirt a bordo del transatlantico Van distoglie momentaneamente l’attenzione da Lucette su di sè a causa di una bionda statuaria in uno striminzito costume da bagno laminato in oro. Lucette, gelosa, subito la soprannomina “Miss Condor” (nasalizzando la prima sillaba)”, ovvero con (cunt, figa) d’or (d’oro), appellativo che Van riconosce come il miglior gioco di parole franco-inglese che abbia mai sentito (497).
Anche i termini “labbra” e “fessura”, con il loro significato sessuale secondario, contribuiscono al sottotesto eroticamente caricato dell’incontro tra Van e Lucette. Van è contrariato dal racconto dettagliato di Lucette sulle avventure di Ada e ripetutamente sfoga la sua ira velenosa “su quel capretto espiatorio dai capelli rossi, sulla innocente Lucette che aveva la sola colpa di essere soffusa dei fantasmata delle innumerevoli labbra dell’Altra” (392). (22) Lucette, mentre sta per iniziare il racconto della propria relazione lesbica con Ada premette a Van che, forse, avrebbe semplicemente dovuto “suonare il campanello” e “infilare la busta nella fessura incandescente” e poi andarsene (385). Questa, insieme a una frase allusiva precedente, emerge ancora anagrammaticamente nel titolo del racconto preferito di Van, The Slat Sign (“L’insegna luminosa”), che viene citato due volte nella conversazione e che si scompone in SLIT (fessura) e GLANS (ghiandole) (riutilizzando per due volte la lettera L). L’incontro termina in modo non meno erotico dell’inizio quando Van, sapendo adesso che potrà ricongiungersi con Ada, dà alla paraninfa-rifiutata-Lucette un abbraccio di addio in cui spinge le sue mani “tra le vulve” delle sue maniche, morbide come pelo di talpa, ovvero tra la pelliccia del suo soprabito e le permette di misurare la portata tattile dei suoi sentimenti per lei passandoci sopra, con le nocche delle sue mani guantate (400, annotazioni mie).
Gli eventi raccontati in Ada hanno luogo in un pianeta chiamato Demonia o Antiterra. Van dedica la propria vita professionale alla ricerca nel campo della Terrapia, lo studio di un antimondo possibilmente irreale chiamato Terra che sembra corrispondere, in termini di topografia e cronologia, al nostro mondo, il mondo del lettore. Tuttavia, per gli abitanti di Demonia l’esistenza di Terra è problematica. La prova dell’esistenza di Terra, gemella distorta di Demonia, si trovano nei vaneggiamenti dei pazzi, nei sogni, e nei presagi. Si ritiene che tutto ciò si trovi nelle “fessure, negli interstizi” della barriera spazio-temporale che separa i due mondi. In qualità di studioso Van è professionalmente incaricato di tentare di confermare l’esistenza di Terra e di studiarla mettendo a confronto tali vaneggiamenti, sogni, e presagi. Le sue ricerche suggeriscono che gli eventi su Terra appaiono come una versione distorta (sia cronologicamente che ontologicamente) degli eventi su Demonia. Dal punto di vista di Terra (e del lettore) la distorsione è reale. Una padronanza della cosmologia di Ada è importante per capire quanto segue, dal momento che Van vede (o si illude di vedere) i presagi del gioco dello Scrabble come intimazioni che vengono da Terra.
L’ambientazione più cruciale dello Scrabble ha una storia interessante. Viene presentato ai bambini da un certo Baron (Barone) Klim Avidov, “un vecchio amico di famiglia (come erano denominati tutti i passati amanti di Marina)” (238). Il Barone Avidov, che non appare mai nel racconto, è quindi la fonte dell’introduzione nella narrazione dei presagi tematici attraverso la tavola da gioco dello Scrabble. Nel mondo di Demonia, Antiterra, il Barone, un ex-amante di Marina, è il padre delle parole dei bambini, proprio come Demon, altro amante di Marina, è il padre biologico di Van e Ada. Il nome Baron Klim Avidov è un perfetto anagramma di Vladimir Nabokov, che naturalmente è il padre ultimo, o Terrestre, degli eventi di Ada. (23) Le portentose partite a Scrabble manifestano realmente barlumi di un altro mondo, ma in un modo diverso da quello che crede Van. Il motivo del gioco dello Scrabble è inserito nel contesto di un più ampio ma meno formale gioco di parole che permea i due “capitoli dello Scrabble” in particolare, e la relazione Lucette-Van in generale e che è stato pianificato dall’autore di Terra, Nabokov.
Il capitolo che introduce il motivo dello Scrabble è preceduto da una discussione sull’uso dei dizionari per scopi che non siano “la volontà di istruirsi o di rispondere alle esigenze dell’arte” (237). Ada, l’appassionata di Scrabble, paragona questo uso del lessico alla “composizione ornamentale di fiori (passatempo romantico, concedeva, per vezzose fanciulle)” (237). Nell’espressione evasiva “maidenly headcocking way” (per vezzose fanciulle) il Grossmeister Nabokov pone il motivo tematico dello Scrabble.
Abbiamo precedentemente suggerito che il motivo del gioco dello Scrabble (insieme ai suoi piaceri non-utilitaristici) svolge una funzione letteraria tradizionale nel libro - quella di amplificare il tema della relazione tra Van e Lucette costruendo un sottotesto carico di erotismo. Inoltre, illustra un principio più ampio nell’ottica estetica di Nabokov. Nabokov ha scritto che “la vera arte non è mai semplice, essendo sempre un’elaborata e magica disillusione.” (24) Chiaramente Nabokov vede la propria arte come una forma di gioco, una partita, e ha affermato che nelle opere d’arte, come nei problemi degli scacchi, la contesa non è tra i personaggi, ma tra l’autore e il mondo. Le opere di Nabokov si aspettano dal lettore grande attenzione e attiva partecipazione. Molte richiedono “una certa predisposizione al risolvere”, se il lettore vuole veramente sprofondarvisi . Il coinvolgimento del lettore nel gioco nabokoviano dell’arte è, tuttavia, un’attività secondaria. Dal punto di vista di Nabokov, l’artisticità di un lavoro risiede nell’eleganza e nella sottile complicatezza della sua composizione, nella costruzione del puzzle. Questo viene affermato in una notazione di Ada, che precede i capitoli dello Scrabble, e cioè che “le acrobazie verbali … trovassero una forma di redenzione nella qualità dell’impegno cerebrale che la creazione di un grande logogrifo o di un ispirato doppio senso esigono …” (237). (25) Bisogna ammettere che questa visione dell’arte è tendenziosa, ma qualsiasi standard scegliamo di applicare, Ada rappresenta il “l’acrobazia verbale” più elaborata di Nabokov e contiene il suo più intricato logogrifo (26).


NOTE

(1) Nella sua autobiografia, Speak, Memory (Putnam, 1966) Nabokov parla dei “piaceri non-utilitaristici” dell’arte e della natura. “Entrambe furono una forma di magia, entrambe furono un gioco di intricato incanto e disillusione” (125). Per una trattazione estesa dell’argomento, vedi la tesi di dottorato non pubblicata di Janet Krasny Gezari, “Game Fiction: The World of Play in the Novels of V. Nabokov” (Yale, 1971).
(2) Una sezione di Speak, Memory è dedicata al suo passato di ideatore di problemi scacchistici (288-93). Nabokov ricorda anche, nella stessa sezione, che tra le sue svariate fonti di entrata economica nel periodo di permanenza a Berlino la sua preferita era la creazione per il ‘émigré newspaper Rul’ delle prime parole crociate russe che egli battezzò krestoslovitsi (283).
(3) Vedi, ad esempio, l’intervista filmata da Robert Hughes nel settembre 1965 per il Television 13 Educational Program a New York. È disponibile con il titolo: “Interview: The Novel (Vladimir Nabokov).”
(4) Per una visione generale dei vari tipi di giochi di trasposizione di lettere, vedi il mio “Nabokov as a Man of Letters: The Alphabetic Motif in His Works”, Modern Fiction Studies, XXV (Autunno 1979). Il ruolo degli scacchi nella trama del racconto di Nabokov The Gift è esaminato nel mio articolo, “The Key to Nabokov’s Gift”, in Canadian-American Slavic Studies, XV.
(5) Ogni riferimento è preso dall’edizione italiana tradotta da Margherita Crepax (Adelphi, 2000) (N.d.R.). I riferimenti ai capitoli sono nel seguente formato; I-19, ovvero, parte uno, capitolo 19.
(6) “Flavita” (un anagramma della parola russa alfavit “alfabeto”) è, secondo il narratore Van Veen, un vecchio gioco russo oggi conosciuto con il nome di “Scrabble”. Il Flavita di Nabokov si differenzia dalla moderna edizione russa dello Scrabble soltanto per alcuni dettagli minori. Ci sono alcune lettere in più, e cambiano i colori delle caselle sulla tavola da gioco. La modalità per totalizzare punti, comunque, è identica, e la mossa vincente di Ada di 383 punti per la parola russa TORFYaNUYu (bordo sinistro della tavola) è perfettamente valida.
(7) Van ricorda che in una partita a Chose aveva battuto “Pat Rishin di Minsk (campione di Underhill e Wilson, NC)” (239). L’allusione (patrician) “patrizio” è chiaramente a Edmund Wilson, alla cui competenza in lingua russa ci si riferisce obliquamente nelle pagine seguenti in una discussione sui dizionari russi, in cui si fa riferimento a “un piccolo ma arguto Edmundson.” Le note di Nabokov all’edizione Penguin di Ada (Londra, 1970) spiegano in parte l’allusione ma non identificano il vecchio amico e avversario di Nabokov, Wilson. Un simile riferimento a Wilson si trova in Speak, Memory in una scena che descrive l’espressione agonizzante sul volto del “campione di scacchi di fama mondiale Wilhelm Edmundson quando, durante una dimostrazione simultanea in un bar di Minsk, si fece mangiare la torre, per una svista assurda, dal pediatra del posto e appassionato di scacchi Dr. Schach, che alla fine vinse” (132, miei appunti). La ripetizione del termine “Minsk”, che sembra essere alfabeticamente ricavato da Edmund K. Wilson, è un’altra allusione alla padronanza della lingua russa di Wilson. Minsk è la capitale di un’area in cui si parla bielorusso, lingua simile ma diversa dal russo standard. Molti russi considerano il bielorusso semplicemente come una variante inferiore del russo. L’edizione Penguin di Ada identifica “Underhill” come una traduzione posteriore del nome “Podgoretz” (pod “under” e goretz “hill”). Si tratta presumibilmente di un riferimento al critico letterario Norman Podhoretz.
(8) Per altre informazioni sul “motivo del divano”, vedi pp. 54, 129-37, 241, e 387.
(9) Per una visione generale del ruolo delle orchidee in Ada, vedi il capitolo V “Ada or Orchids” in Bobbie Ann Mason, Nabokov’s Garden: A Guide to Ada (Ardis, 1974), pp. 72-92.
(10) Una simile immagine del fiore è utilizzata dalla folle Aqua la quale dice al proprio dottore, “Lo so che lei vuole esaminare il mio pudendrum, la rosa alpina pelosa nel suo album…” (37-8).
(11) Nabokov trova anche l’occasione di utilizzare questo termine di uso corrente nei secoli diciassettesimo e diciottesimo in Lolita (Putnam, 1958). Parlando della sua prima moglie, Humbert dice, “Per quanto mi ripetessi che stavo cercando una mera presenza lenitiva, un pot-au-feu nobilitato, un toupet intimo animato, ciò che davvero mi attirava in Valeria era l’imitazione che sapeva fare di una bambina” (Trad Italiana di Giulia Arborio Mella, ed. Adelphi, pag. 37).
(12) Benchè la descrizione sia trattata dal narratore Van Veen come una parte della loro conversazione, l’editore fittizio Ronald Oranger suggerisce che potrebbe avere una “origine epistolare” - in particolare nella precedente lettera d’amore di Lucette a Van.
(13) L’espressione “vampe infernali” è una allusione bilingue ad Ada, dal momento che in russo il derivato aggettivale del suo nome significa “infernale.” Un altro gioco di parole bilingue di questo genere è rappresentato dall’esclamazione preferita di Ada “Pah!” (corrispondente al Pfui di p. 51, al Puah di p. 262, e a quello di p. 540) che viene imitata da Lucette durante il suo incontro con Van. Pah è una traslitterazione nabokoviana del termine russo per “inguine.”
(14) Gran parte del dialogo è in russo, nonostante Van lo riproduca in inglese. In russo “zigomo” è skula, termine in cui il passaggio a skeletki “piccoli scheletri” è più chiaro.
(15) La ghiandola di Van ricomparirà alla fine della scena per ulteriori riflessioni.
(16) Sia krest “croce” che il suo diminutivo krestik vengono utilizzati nel corso della scena. Il primo indica, come dice Van, “le quattro braci di una croce volpina.” La forma diminutiva sembra riferirsi solo al tizzone inferiore. Lolita affronta un’altra permutazione anagrammatica imperfetta sul tema della krestik attraverso il termine tedesco Kitzler “clitoride.” Humbert rintraccia Quilty e Lo attraverso le loro registrazioni criptate nei motel. Humbert ride della loro ingenuità affermando che “… un qualsiasi buon freudiano dal nome tedesco e qualche interesse per la prostituzione religiosa avrebbe riconosciuto al primo sguardo il riferimento di Dr. Kitzler, Eryx, Miss.” (313). Come Carl Proffer afferma nel suo Keys to Lolita (Indiana University Press, 1968), non solo Kitzler significa “clitoride”, ma Monte Erice in Sicilia era la sede del tempio di Venere in cui le sacerdotesse erano prostitute (14).
(17) Pour cogner une fraise (pseudo-francese per “per coniare una frase”) è un altro gioco di parole bilingue, come ci informano le note all’edizione Penguin di Ada. Il significato francese sarebbe “sfiorare una fragola” - in particolare, la rossa di capelli Lucette. L’inglese “fraise” (pelliccia) fa riferimento alla criniera di Ada.
(18) Nonostante l’associazione della sequenza EMB con Lucette sia chiara, il suo significato non lo è. Si veda, comunque, la risposta di Nabokov alla domanda di un intervistatore sull’incesto visto come tema morale in Ada: “In realtà, non mi importa assolutamente nulla dell’incesto, né in un senso né nell’altro. Semplicemente mi piace il suono “bl” in parole come siblings (fratello/sorella), bloom (bocciolo), blue (blu), bliss (felicità), sable (zibellino).” Strong Opinions (McGraw-Hill, 1973), pp. 122-23.
(19) Lowden è una unione di Robert Lowell e W. H. Auden, le cui parafrasi di poemi russi erano fonte di irritazione per Nabokov. Il malheureux (“sfortunato”) autore è André Malraux, mentre il nome Pompier deriva dalla parola francese per “pompiere”, che qui, comunque, significa “convenzionale” o “banale”. La Condition Humaine di Malraux è uno dei bêtes noires di Nabokov. Per una critica dettagliata, vedi The Nabokov-Wilson Letters, ed. Simon Karlinsky (Harper and Row, 1979), pp. 175-78.
(20) In una conversazione posteriore con Van, Ada dice di Lucette “… non dobbiamo aver paura che lei sorprenda i nostri ébats (lo disse pronunciando apposta la prima vocale à la Russe, con il trionfante uliganismo per il quale viene lodata anche la mia prosa” (409). La pronuncia suggerita produce l’oscenità yebát.
(21) Eric Partridge, A Dictionary of Slang and Unconventional English (Macmillan, 1967).
(22) Il “motivo delle labbra” è ripreso più attentamente nel capitolo I-17, dedicato alla “fase dei baci” di Van e Ada. Questo capitolo segna anche l’inizio un motivo del dizionario che viene poi reintrodotto nell’introduzione del capitolo dello Scrabble (I-36).
(23) Nabokov usa questo stesso espediente anagrammatico per inserire il proprio nome in una scena di gioco di parole a sfondo similmente sessuale, anche se in proporzione molto più modesta, in Trasparent Things (McGraw-Hill, 1972). L’editore Hugh Person sta correggendo le bozze del nuovo racconto del signor R. La scena che sta correggendo è di una madre e una figlia che accarezzano il loro amante sul parapetto pericoloso di una montagna. Il correttore di bozze Hugh è sconcertato da alcune parole del testo: “talvolta si domandava quale fosse il vero significato di una frase- cosa voleva dire esattamente “rimiforme” e che aspetto aveva una “prugna balanica”, o doveva forse inserire una c dopo la l? Il dizionario che usava a casa era meno completo di quello enorme e sconquassato che aveva in ufficio, ed era messo in imbarazzo da delizie quali tutto l’oro di un ginko biloba e nebride chiarezza”. Un certo Adam von Librikov (Vladimir Nabokov) abbellisce la scena in questione (p. 108 della versione italiana: Cose trasparenti. Trad. Dmitri Nabokov, Adelphi).
(24) Eugene Onegin (Bollingen Foundation, 1964), III, p. 498. Citato da William Woodin Rowe nel suo Nabokov’s Deceptive World (New York University Press, 1971), x.
(25) Speak, Memory, p. 290.
(26) La mia analisi sui giochi di parole nei due capitoli (I-36 e II-5) si restringe al motivo della pornografia lessicale introdotta dal gioco dello Scrabble. Ci sono molte altre aree di allusione e giochi di parole che ho trattato molto leggermente o per nulla.
Un piccolo chiarimento finale. Qualsiasi lettore di Nabokov che pensi di aver scoperto e aperto il contenitore più piccolo del puzzle a forma di scatola cinese dell’autore sta facendo una presupposizione azzardata. Nella mia analisi dei giochi sui termini anatomici sessuali in Nabokov, ho trattato i vari giochi di parole come unità a sé stanti legate unicamente dal loro significato sessuale. Dovrei suggerire un’ulteriore possibilità. Potrebbe darsi che molte delle parole chiave siano legate l’una all’altra ad un livello formale e semantico. Si faccia un paragone con l’impressionante gioco in Pale Fire (Putnam, 1962) in cui la sequenza in russo - nel Word Golf - KORONA “corona”, KOROVA “mucca” e VORONA “corvo” è esattamente parallela alla serie inglese CROWN “corona”, CROW “corvo”, COW “mucca”, i cui membri sono relazionati tra loro dalla cancellazione di una singola lettera piuttosto che dalla sostituzione di una singola lettera, come accade nel russo (260). Qui sembra accadere qualcosa di vagamente simile per quanto riguarda la relazione tra alcuni termini chiave nel gioco dello Scrabble di Ada: KREST(IK)-SEKEL’-KLITOR e CROSS(LET) (piccola croce) - CREST (croce) - CLITORIS (clitoride). Il parallelismo è forzato e imperfetto per il fatto che i membri di ogni serie non sono in relazione tra loro in modo specifico ed elegante come accade nell’esempio di Pale Fire. Potrebbero esserci connessioni perdute nel testo?

 

       
    D. Barton Johnson, insegna alla University of California a Santa Barbara, è autore di
A Transformational Analysis of OT Constructions in Contemporary Standard Russian and Worlds in Regression: Some Novels of Vladimir Nabokov, ma anche di numerosi saggi su VN e altri scrittori russi. Presidente dell' International Vladimir Nabokov Society, è anche il fondatore di NABOKV-L, il Forum online di discussione letteraria attorno a Nabokov, e Nabokov Studies, pubblicazione annuale.
       
     

DOPPIO GIOCO (Sophie Calle)

di Alexandra Cristina Castillo-Kesper

(trad. C. Lagani)

       
  immagini:
fotografie tratte da cicli
di opere di Sophie Calle
   
       
    La scorsa estate, mentre mi trascinavo faticosamente attraverso i locali cavernosi del MASS MoCa, sono stata risvegliata nei sensi dal violento impatto visivo dell’esposizione “Game Show”. Ho fermato i miei passi a “Double Game” (Doppio Gioco) – l’album di ritagli fotografici, meticoloso e assai pieno di stile, di un’artista concettuale, la rivoluzionaria Sophie Calle. Ho dato una prima lettura di quello spazio come se fosse stato un diario tridimensionale – due luoghi abitati da tre idee. Avevo voglia di entrare? Mentre valutavo la questione, un amico mi strattonò per la maglietta tirandomi all’interno.

A ben guardare, proprio una sorta di diario fotografico si dipanava, pezzo per pezzo, all’interno della stanza bianca. La struttura di “Double Game” aveva una finalità diversa da quella delle altre installazioni in cui mi ero imbattuta là, quel giorno, anzi, di qualunque installazione in qualunque altro posto. Si susseguivano, attraverso la stanza, elaborate e dense onde di testo, fotografie, manufatti. Per quanto fossero affascinanti, io esitavo ad immergermi in quel pesante compendio di documentazioni. “Qual era già il nome di quest’installazione?”- pensai – “Double Game? Qualcosa che funziona come gli scivoli e le scale?” Ci sto: gioco anch’io!
       
    Parrucche, calze nere e scarpe di vernice, Sophie Calle è una spia. L’arma scelta? La macchina fotografica, “l’arnese per nulla congeniale” (1). Lei fotografa “per accedere ad una storia, per farsi vicina al (ad un) soggetto”, e definisce la sua tecnica intrusiva “un modo per avvicinare le persone” (2). Spiando nell’obiettivo della Calle, si potrebbe captare la sua ossessione documentativa dei misteri sociologici del mondo tramite l'interazione con le altre persone.
Nel corso della sua ultima missione, “Double Game”, la Calle mette la Calle sotto sorveglianza. Libera il suo lavoro precedente dal sentimento della paura e lo trasforma in una giocosa collaborazione con lo scrittore Paul Auster. Nel suo libro, del 1992, Leviathan, Auster aveva creato un personaggio, Maria, ispirato ai rituali compulsivi della Calle. In “Double Game” la Calle risponde alla sua caricatura nella fiction imitando Maria e manipolandola. Paul e Sophie si scambiano i loro reciproci ruoli in mutua oscillazione, giacché lui, dalla posizione di chi guarda, mette il voyeur sotto osservazione, e la Calle gli risponde calando se stessa nelle dinamiche sceniche del personaggio, Maria, e “realizzandole alla perfezione” (3)
Spingendosi ancora più in là nel progetto, la Calle, che “non torna mai indietro sulla sua strada” (4), decide di aggiungere un ulteriore gioco di carte al suo scherzo con Paul. Affascinata da questo gioco “dell’arte che imita l’arte che imita la vita”, la Calle chiede a Paul di inventarsi un personaggio totalmente fittizio le cui regole lei seguirà. Paul prenderà il ruolo del regista, mentre la Calle seguirà una sceneggiatura. La Calle “sempre più disinvolta quando è al di fuori del ghetto del museo e della galleria” (5) è sfidata da Paul all’interazione col mondo di tutti i giorni. Questo è l’aspetto più interessante della collaborazione – una Calle spogliata del suo solito contesto stravagante e glaciale che si misura forzatamente, nel gioco, con l’inflessibile realtà.
“Double Game” è il percorso panoramico su una vita, o sulle vite, in un quaderno d’appunti quasi reincarnato in qualcosa d’umano. L’installazione è divisa in tre parti. La “Parte I” si intitola “La vita di Maria e il modo in cui influenzò la vita di Sophie” (6). La “Parte II”, invece, si chiama “La vita di Sophie e il modo in cui influenzò la vita di Maria” (7). La “Parte III” è il “Gotham Handbook”, che la Calle afferma essere “uno dei molti modi per mescolare realtà e fiction, ovvero come tentare di essere un personaggio del romanzo al di fuori del romanzo”. (8)
La Calle dice del suo lavoro che “è in relazione col miglioramento della (sua) vita”. (9) “Double Game” mostra in che modo, attraverso l’esplorazione degli altri, lei sia arrivata all’esplorazione di se stessa, e io direi che ciò è incoraggiante per chi sta a guardarla. “Il fatto che lei scavi dentro se stessa incoraggia anche gli altri a fare lo stesso” (10) Si può davvero essere in sintonia con la vita di ogni giorno, come fa Sophie, agitando in superficie “la blanda realtà” e traformandola “in splendido mistero” (11)
       
   

Parte I: la vita di Maria e il modo in cui influenzò la vita di Sophie

La dieta cromatica

In Leviathan Maria si sottopone agli stessi rituali a cui mi sottopongo io. Ma Paul Auster ha fatto scivolare alcune regole di sua invenzione nel suo ritratto di Maria. Per far sì che Maria e io fossimo più vicine, io decisi di lasciarmi guidare dal libro. L’autore impone al suo personaggio un regime cromatico che lo costringe a limitarsi a cibi di un unico colore per ogni giorno dato. Io ho seguito queste istruzioni. Lui induceva Maria a basare giornate intere su una singola lettera dell’alfabeto. Io ho fatto quello che lei faceva.

Sophie Calle, “Double Game”

       
      La dieta cromatica ha uno spettro di geometrie, tessiture, e vibrazioni stratificate. Ogni giorno vede emergere un diverso colore. Lunedì è arancio. Gamberi bolliti e arrotolati, fluttuanti in una purea di carote, mentre una fetta di melone si moltiplica per cinque. Del succo d’arancio attende di essere versato. Martedì è rosso. Chicchi di melagrane scintillanti scivolano uno sull’altro in una danza selvaggia accanto a pigri pomodori che riposano quietamente su morbidi guanciali di bistecche tartare. Mercoledì è bianco. Un’ala di passera sovrasta un letto di puntini di riso, un corpo pastoso di bianco formaggio si specchia in un cilindro di latte cremoso. Giovedì è verde. Dischi di cetriolo incoronano un fossato di soffici spinaci che sostengono un corpo centrale di scivolosa pasta al basilico. Venerdì è giallo. “Il sogno della giovane ragazza” scalda come un sole un’insalata di patate e calendula mentre lei si distende, quasi ninfea, su un’omelette afgana. Sabato è rosa. Fette di prosciutto serpeggiano come un tornado intorno ad un’insalata di crostacei. Due mestoli di gelato di fragole premono uno sull’altro come due guance di cupido. Con la domenica arriva la festa del cibo: esso può esplodere in fuochi d’artificio e scintillanti laghetti di colore: una vivace mappa di delicatezze, anche se la Calle decide poi che “i romanzi sono tutti molto belli, ma non è necessariamente così dilettevole viverli alla lettera”. (12)
“Double Game” ci porta “sul terreno” della Calle. (13) Sophie qui trova necessario mantenersi distinta dalla propria arte, a differenza dei percorsi precedenti in cui vita e lavoro erano inseparabili. Assume il controllo di Maria, altera alcune caratteristiche del personaggio per creare un abito di sua misura. Nel caso della Dieta Cromatica Sophie altera il programma dei pasti di Maria per seguire fino in fondo la sua natura ritualistica. In Leviathan Auster aveva dimenticato di includere tre pasti nella settimana dei sapori e dei colori di Maria. Sophie compie una sorta di adattamento per assecondare la sua esigenza di un’organizzazione cerimoniale e stilistica, e aggiunge il giallo per il venerdì, il rosa per il sabato, e per la domenica un dispiegamento dei vividi piatti della settimana. “In Double Game la Calle riprende così il controllo del suo doppio della fiction, quello creato da Auster, ma vi imprime una sorta di avvitamento passivo: segue le descrizioni dell’autore come se si trattasse di istruzioni, facendo poi virare le regole auto-imposte con sue aggiunte personali e con una dose di umorismo”. (14)
       
   

Giorni sotto il segno della B, della C, & della W

 

Per essere come Maria ho trascorso la giornata di martedì 10 marzo 1998 sotto il segno della B per Bel-Tempo Bionda Bimbo; martedì 16 febbraio 1998 sotto il segno della C per Calle & Calle al Cimitero; giovedì 19 marzo 1998 sotto il segno della C per Confessione; e sabato 14 marzo 1998 sotto in segno della W per Weekend in Wallonia.

Sophie Calle, “Double Game”

       
   

B per Bellezza e il Bestiario: Barbagianni, Bantam, Babirùssa, Bue; Baco, Barbasso, Bramire, Berciare, Belare, Baiàre; Bestiale Bacucco, BB

Puntellata in un brunito belcapello di bimbo
sorride la buonape regina dietro il suo baluardo di baco.
Benigne biliose bestie brucano
Prati di pigmenti e pieghe
Perforate biancofarfalle
Brillano
In voli statici

Vivendo i giorni sotto il segno della B, della C & W, Sophie vive i giorni del regolamento alfabetico di Maria, ma lo fa all’interno del suo contesto di vita. In una serie di quattro fotografie, metà a colori, metà in bianco e nero, Sophie documenta la sua performance sulle lettere. Accanto ad ogni foto sta un testo esplicativo, da cui si evince il modo in cui ha interiorizzato la lettera fino ad averne percezione reale e una sorta di comprensione creativa. In "B per Bel-Tempo Bionda Bimbo", Sophie vede la “B” attraverso un personaggio da lei conosciuto, BB, “che negli anni recenti ha sviluppato una sensibilità nei confronti degli animali che eccede perfino quella che ha nei confronti degli uomini, quasi fino a giungere alla caricatura”. (15) Sophie dà una nitida rappresentazione di BB, circondandosi di un assortimento di ultraespressivi animali impagliati. Il dramma è creato dalla teatralità delle creature, ma le chiavi che conducono alla lettera “B” sono più sottili. Sebbene Sophie di solito scelga l’abbandono alla parte nel suo lavoro, qui sembra che la sua sia la voce dominante nella costruzione del personaggio di Maria. In questa fotografia Sophie ha un sorriso alla “Da Vinci”, forse per tenere nascosta la sua identità. È un sorriso di indifferenza o di discrezione? La Calle sta recitando la parte di Maria o il suo è semplicemente un gioco?

       
     

Parte II: la vita di Sophie e il modo in cui influenzò la vita di Maria

La Parte II di “Double Game” non deve intendersi come “un resoconto completo dell’arte della Calle”, ma piuttosto “consiste in opere della Calle che sono in relazione con certe tracce di personaggio”. (16) Essa contiene le linee che costituiscono i tratti caratteristici del personaggio di Auster, Maria. La Calle descrive questa sequenza autobiografica come “un progetto artistico che fu di ispirazione all’autore e che ora io e Maria condividiamo”. (17)
Quello che Maria condivide con l’artista è un ruolo nell’epica nomade e senza apparente finalità di Sophie, “l’universale ricerca di se stessi”. (18) Questo percorso è sempre stato al centro degli sforzi della Calle; è ciò che l’ha spinta a dedicarsi ad un’attività autoinvestigativa. Dopo essersi diplomata, a diciassette anni, si è ritrovata priva di una qualunque ambizione tranne quella di viaggiare. Dopo aver viaggiato per sette anni in giro per il mondo è tornata in Francia, dove si è sentita una straniera, “mi sentivo perduta nella mia stessa città… avevo dimenticato ogni cosa di Parigi. Non avevo più consuetudini. Non conoscevo più nessuno. Non avevo luoghi dove andare, e così decisi di mettermi a seguire le persone – chiunque… facevo in modo che fossero loro a determinare il mio cammino. Talvolta mi affezionavo a queste persone e allora mi procuravo una macchina fotografica… prendevo appunti dei loro movimenti.” (19)
Si ha l’impressione che, all’inizio della sua carriera, Sophie si vedesse come una sorta di puzzle, con il mondo al posto dei pezzi. Sophie assume questo ruolo di detective in un primo momento per investigare i misteri che adombrano l’identità di ognuno. Nascondendosi dietro varie maschere e in diverse ambientazioni, Sophie esplora se stessa attraverso molteplici persone e in svariati scenari. Auster sceglie di forgiare il suo personaggio in Leviathan, Maria, su Sophie e con questo gesto è lei a diventare l’enigma sotto ai riflettori. C’è un senso di intrigo nella relazione piena di suspence che la Calle crea con la sua materia. Mentre Sophie “è sulle tracce di una persona… e mette insieme i pezzi di una narrazione, di un ritratto, di una vita” (20), noi siamo ugualmente impegnati nel cercare di comporre i frammenti dell’artista in pezzi. “La modalità distaccata di raccogliere informazioni e immagini” (21) da parte di Sophie è percepibile attraverso le varie maschere che lei indossa. Nella Parte II verifichiamo che le tecniche intrusive di Sophie hanno come scopo quello di registrare la realtà di ogni giorno tramite una distorta forma di controllo. “Ciò che mi interessa è quello che sta tra la verità e la finzione”, spiega la Calle. “Il testo e le immagini sono una registrazione della realtà” (22). In L’Hotel e in Il Detective, due elementi della Parte II di “Double Game”, Sophie raccoglie briciole dell’esistenza delle persone attraverso una documentazione lineare che dà vita ad elaborate storie.

       
      L’Hotel era un progetto per cui Sophie si fece assumere come cameriera in un piccolo albergo di Venezia, scattando delle foto delle stanze degli ospiti che documentassero il loro passaggio. La sequenza di foto in bianco e nero delle stanze fa assumere a questo progetto l’aspetto di un documentario antropologico. Collocandosi, grazie al lavoro, in un contesto di intimità, l’opera di Sophie “prende quasi la forma di… un’indagine statistica e comparativa dei differenti comportamenti delle persone in contesti che, generalmente, vengono considerati privati”. (23) Leggendo i loro diari, rovistando tra i loro oggetti personali, origliando le loro conversazioni, Sophie conquista “punti di vista privilegiati sulla vita privata della gente… senza dover loro attribuire associazioni personali” (24) La stanza n. 25 è la prima che Sophie investiga. Adopera gli indizi lasciati intorno per dipingersi un ritratto dell’ospite di quella stanza, “colui che occupa questa stanza è un uomo. Ci sono alcuni indizi accanto al lavabo: un pettine sporco con alcuni denti mancanti… un deodorante maschile.” Ficca il naso nei suoi oggetti più personali per darsi un’immagine vivida di lui, ma si può affidare soltanto a questi oggetti e alla sua percezione generale della stanza, “Rumori nell’ingresso. Chiudo il diario… qualcuno sta entrando nella stanza… tenterò di dimenticarlo”. (25) La Calle crea una relazione con questo uomo semplicemente attraverso la sua percezione di lui, rifiutando un contatto ravvicinato. “La pratica di innestare la finzione nella realtà è divenuta un marchio distintivo dell’opera della Calle”. (26) Sophie ci rammenta che quella storia e quegli eventi che siamo soliti considerare come “i fatti diretti” possono anche essere delle manifestazioni soggettive. Comprende che la forma più potente di cui dispone di traduzione delle sue osservazioni avviene attraverso una risposta visiva.
       
   

Il Detective è un altro progetto nell’installazione “Double Game” in cui Sophie gioca al detective. Questo gioco contempla due giocatori: Sophie e una spia che la madre di Sophie ha assoldato su sua richiesta in un’agenzia investigativa. Col titolo di “Autoritratto” la Calle “cede il suo ruolo di artista al detective” (27) perché “dia prova fotografica della sua esistenza”. (28) Per tutto il giorno l’investigatore assoldato segue Sophie, registrando le sue osservazioni sulle attività di lei e sui luoghi che lei frequenta attraverso istantanee e appunti. Proprio come in L’Hotel la Calle “si avvale dello sguardo per dimostrare l’esistenza”. (29) La Calle non può far affidamento solo su stessa per dar prova della sua esistenza, o per creare il proprio ritratto, ma “deve affidarsi ad una seconda parte per determinare la rappresentazione di sé”. (30) Sebbene Sophie si affidi a questa seconda parte per annotare le informazioni relative alla sua “esistenza”, tiene anche personalmente un diario di osservazioni e di emozioni. Il Detective usa questa metafora di Sophie come puzzle e la modifica mostrandocela meno passiva, nel momento in cui comincia a conquistare una sua propria voce. Noi verifichiamo che questi ritratti quotidiani di Sophie hanno lo stesso grado d’intimità dei ritratti di lei relativamente ai precedenti soggetti,

“All’ 1:05… noi (Eugene B. e Sophie) ci salutiamo/ io mi dirigo verso il Pantheon. Da una cabina telefonica chiamo Bernard F, che vorrei tanto vedere come “lui”. Quando avevo nove anni ero sicura che Bernard F fosse mio padre… amavo sedermi sulle sue ginocchia e stare a guardarlo in attesa… le (sue) visite divennero meno frequenti… smisi di sedermi sulle sue ginocchia… dall’età di dodici anni dimenticai quell’erronea idea di discendenza.” (31)

In quest’annotazione Sophie ci lascia scorgere frammenti di lei come prescritto dalla sua opera, la relazione con il detective. Suo marito, da cui ora la Calle è separata, ha detto: “Stare con Sophie significa essere disposti a diventare materiale per un soggetto, giacché non esiste distinzione tra il suo lavoro e la sua vita. La sua arte è la maniera in cui lei inventa la sua vita” (32) Ne Il Detective Sophie comprende di non poter tener nascosta la sua vita alla sua arte, così lei è costretta a rivelare informazioni intime per “il bene dell’arte”; questa è la definizione del suo lavoro. Il Detective è una pietra miliare in una parte significativa del percorso di Sophie di ritorno a se stessa.
In quest’età di reality TV, di telecamere digitali, di tutti gli altri media tecnologici di informazione, è facile perdere se stessi, lasciarsi influenzare, andare a fondo nella miriade di comunicazioni e di immagini. “I vincoli di una comunità vengono raramente definiti perché siamo sempre in movimento. Sophie Calle documenta i loro effetti.” (33) La Parte II mostra la realizzazione da parte dell’artista di questo stato confuso, mentre il resto degli elementi di “Double Game” mostrano le lente tappe della Calle nel suo percorso di capovolgimento della corrente malvagità del mondo.

       
     

Parte III: Gotham Handbook: uno dei molti modi per mescolare realtà e fiction, ovvero come tentare di essere un personaggio del romanzo al di fuori del romanzo

Poiché in Leviathan Auster mi aveva presa come soggetto, io mi immaginai che i ruoli si invertissero e che io potessi prenderlo come autore delle mie azioni. Gli chiesi di inventare un personaggio fittizio a cui io avrei cercato di assomigliare. Di fatto stavo invitando Paul Auster a fare di me quello che voleva per un periodo che poteva arrivare ad un anno. Auster obbiettò che non voleva assumersi la responsabilità di ciò che poteva succedere nel momento in cui io avessi recitato la sceneggiatura che lui aveva creato per me. Preferì inviarmi delle “Istruzioni Personali per SC sul Modo in cui Migliorare la Vita a New York City (A seguito di sua richiesta…)”. Io seguii le sue direttive…

Sophie Calle, “Double Game”

       
      La Calle esorta Paul Auster a proseguire la loro collaborazione al di là di Leviathan nella Parte III. La sua richiesta non è un bluff. Nel chiedere a Paul di “inventare un personaggio fittizio a cui lei avrebbe cercato di assomigliare”, Sophie resta nell’ambito del gioco di ruoli di “Double Game”, eppure lo fa da una posizione passiva poiché conferisce a Paul autorità sulle sue azioni. Per l’artista “non è più una questione di recitare una partitura che è stata già scritta – la parte apocrifa della Maria di Auster – ma di mettere se stessa alla mercé delle fantasie di qualcuno”. (34) La risposta di Auster alla preghiera di Sophie è il Gotham Handbook che dà direttive dettagliate su come migliorare il clima di indifferenza generalizzata a New York City. Il titolo è “Istruzioni Personali per SC sul Modo in cui Migliorare la Vita a New York City”, e il Gotham Handbook è il corpo dell’identità di una settimana per Sophie Calle. Accanto a questo mandato c’è la risposta testuale e visuale della Calle. La Parte III di “Double Game” testimonia la reinvenzione della Calle da parte di Auster.
Il Gotham Handbook dà direzione alla missione della Calle nelle quattro categorie del “sorridere”, “parlare agli estranei”, “ai mendicanti e ai senzatetto” e “aver cura di un luogo”. A Sophie è impartito di “sorridere quando la situazione non lo richiede”; iniziare conversazioni con estranei parlando “più a lungo che può”; allungare sandwiches e sigarette ai senzatetto”; e “selezionare un luogo della città come parte della (sua) identità”, (35) registrare, prendere annotazioni e scattare foto alle persone che passano vicino. In questo progetto Auster sfida la Calle ad interagire col mondo distante che lei solitamente osserva. Auster “dà risalto al meccanismo con cui il lavoro della Calle si svolge, pur opponendogli restistenza, e cioè al meccanismo del dialogo.” (36) Auster lascia andare il pulsante silenzioso e una nuova Calle viene alla superficie “una Calle che va contro tutto ciò che (il pubblico) ha sempre creduto di sapere sulla Calle, e al di là di ciò che è così tanto visibile dello stesso terreno che la Calle e Auster condividono”
Sophie segue gli ordini di Paul impeccabilmente e ostinatamante. Prima di iniziare si lamenta della banalità del progetto, “mi chiedo se Paul abbia tratto ispirazione per queste istruzioni su come trasformare New York in qualcosa di bello dalla lettura delle dodici tappe di un Alcolista Anonimo, comunque, (e in ogni caso) io ho il dovere di obbedire.” (37)
Sophie a malincuore progetta il modo in cui organizzare le sue istruzioni giornaliere in routine, “Per quanto riguarda la prima istruzione – SORRIDERE – non ci dovrebbe volere molto esercizio, il solo problema è quello di conservare le tracce del numero di sorrisi ricevuti ogni giorno.” (38) È interessante come l’istruzione più scomoda per Sophie sia “Parlare con gli Estranei”. Rivela la sua incapacità di interagire in un dialogo con quelli che furono i soggetti dei suoi precedenti lavori. Sembra che attraverso il Gotham Handbook Paul stia riportando Sophie all’apprendimento dei fondamenti della comunicazione.
Il luogo di cui Sophie ha cura è una cabina telefonica all’angolo fra Greenwich e Harrison Street a Tribeca; la puliscce e la personalizza con ornamenti floreali, pittura, succhi di frutta, cartoline, sedie legate con catene, e un’insegna che recita: “Buona Giornata”. Da questo luogo Sophie scatta fotografie dei suoi ospiti e per mezzo dell’installazione di un registratore, spia e registra le loro conversazioni. Quando si allontana da quel luogo, porta a compimento il resto dei suoi compiti allungando sigarette e sandwiches ai fumatori e agli affamati, tenendo più lunghe che può le sue conversazioni con gli Estranei, “decidendo di disobbedire” alle regole nel momento in cui l’obbedienza “non ha più alcun effetto” (39) su di lei. Sophie conserva memoria dei sorrisi, dei pacchetti di sigarette, dei sandwiches offerti e ricevuti, e della durata e dei minuti delle conversazioni tenute. Ha anche incollato un foglio sulla cabina, con la richesta di apporvi commenti e suggerimenti o lamentele, e qui lei riceve recensioni di vario tenore, sebbene la maggior parte sia positiva.
L’informazione che rivela l’obiettivo centrale di Gotham Handbook è quella statistica che la Calle annuncia come il “risultato di un’operazione”: “125 sorrisi fatti contro 72 ricevuti, 22 sandwiches accettati contro 10 rifiutati, 8 pacchetti di sigarette presi contro 0 non, 154 minuti di conversazione.” (40) Questo progetto sembra aver prodotto cifre non decisive, e la radice di questo sembra risiedere nello sconcerto delle strade di New York per quello che già qualcuno definì “un bel gesto umanitario”.(41) Io credo che l’aspetto più impressionante del progetto della Calle sia proprio la confusione dei passanti in relazione al suo altruismo elementare. La gente che sta a guardare il “luogo” della Calle è stordita per il fatto che qualcuno si prenda la briga di “travestire” la funzionalità di una strada, solo per bellezza, generosità, cortesia. I passanti fanno commenti del tipo: “è un atto di vandalismo”, “ma qui è morto qualcuno?”, e “sai gli spacciatori… vengono qui a rifornirsi della loro merda”. (42)
Non riescono a capire perché una cosa come una cabina telefonica possa andar oltre al suo scopo, e cioè essere usata per fare chiamate. La cabina telefonica rappresenta il vuoto comunicativo che c’è nel mondo, che ha come conseguenza il ripiegamento in sé e la perdita di generosità. La scelta di Sophie della cabina telefonica in Parte III è potente, perché i telefoni hanno preso il posto delle persone nelle conversazioni per ragioni di distanze vocali.
Sophie Calle non è più uno spettatore ma un missionario nella Parte III di “Double Game”. Interagendo con un mondo in cui il concetto di comunità è carente, invece di stare ad osservarlo in maniera inerte, è in grado di produrre risultati credibili enfatizzando la “spassionatezza” di quel mondo. Con Gotham Handbook, Auster porta la Calle fuori dalla sua seclusione e la conduce in una realtà che lei non può fabbricarsi da sola. “Con (il suo) aiuto, (Sophie) crea una situazione sociale che costringe gli altri ad abbattere il loro muro di indifferenza”. (43)
       
     

NOTE

 (1) Linda Weintraub, Art on the Edge and Over (Litchfield: Art Insights, Inc, 1996), 67.
(2) Ibid., 67.
(3) Yve-Alan Bois, "Character Study: Sophie Calle". Artforum v. 38 no8 (aprile 2000): 126-31.
(4) Sophie Calle, Intervista di Magali Nachtergael, 4 Giugno 2000, Conversazione telefonica, Francia.
(5) Yve-Alan Bois, "Character Study: Sophie Calle". Artforum v. 38 no8 (aprile 2000): 126-31.
(6) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 12-13.
(7) Ibid., 32-33.
(8) Ibid., 234-235.
(9) "How Rituals Can Create a Reluctant Artist; Intimacy and Strangers Structure Her Life," The New York Times, 28 Aprile 1999, pB1(N) pE1(L) col 5 (50 col in).
(10) Ibid.
(11) Paula Cooper, "Sophie Calle". Flash Art v.34 no. 218 (maggio/giugno 2001): 149.
(12) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 21.
(13) Yve-Alan Bois, "Character Study: Sophie Calle". Artforum v. 38 no8 (aprile 2000): 126-31.
(14) Maud Levin, recensione di Double Game, di Sophie Calle, in Art in America, luglio 2000, 33.
(15) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 24.
(16) Maud Levin, recensione di Double Game, di Sophie Calle, in Art in America, luglio 2000, 33.
(17) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 32-33.
(18) Ginger Danto. "Sophie the Spy". Art News v. 92 (maggio 1993): 101.
(19) Ibid., 101.
(20) Robert L. Pincus. "Sophie Calle: the prying eye". Art in America v. 77 (ottobre 1989): 193.
(21) Carolyn Christov-Bakargiev. "Someone Everywhere". Flash Art no. 158 (maggio/giugno 1991): 108.
(22) Ginger Danto. "Sophie the Spy". Art News v. 92 (maggio 1993): 102.
(23) Carolyn Christov-Bakargiev."Someone Everywhere". Flash Art no. 158 (maggio/giugno 1991): 108.
(24) Linda Weintraub, Art on the Edge and Over (Litchfield: Art Insights, Inc, 1996), 69.
(25) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 145.
(26) Ginger Danto. "Sophie the Spy". Art News v. 92 (maggio 1993): 101.
(27) Linda Weintraub, Art on the Edge and Over (Litchfield: Art Insights, Inc, 1996), 70.
(28) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 122-3.
(29) Paula Cooper, "Sophie Calle". Flash Art v.34 no. 218 (maggio/giugno 2001): 149.
(30) Linda Weintraub, Art on the Edge and Over (Litchfield: Art Insights, Inc, 1996), 70.
(31) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 126.
(32) Ginger Danto. "Sophie the Spy". Art News v. 92 (maggio 1993): 103.
(33) Linda Weintraub, Art on the Edge and Over (Litchfield: Art Insights, Inc, 1996), 70.
(34) Yve-Alan Bois, "Character Study: Sophie Calle". Artforum v. 38 no8 (aprile 2000): 126-31.
(35) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 239-45.
(36) Nancy Pricenthal, "Talking points: conversation in the art of Sophie Calle, Joseph Griegely, and Suzanne McClelland". Art on Paper v. 5 no. 5 (maggio/giugno 2000): 55.
(37) Yve-Alan Bois, "Character Study: Sophie Calle". Artforum v. 38 no8 (aprile 2000): 126-31.
(38) Sophie Calle, Double Game (London: Violette Limited, 1999), 246.
(39) Ibid., 246.
(40) Ibid., 285.
(41) Ibid., 254.
(42) Ibid., 293.
(43) Yve-Alan Bois, "Character Study: Sophie Calle". Artforum v. 38 no8 (aprile 2000): 126-31.

       
     

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