Rassegna stampa - Pubblicazioni
       
      O/Z - Atlante di un viaggio teatrale
       
     

Lorenzo Donati, Dal romanzo alla scena

Armando Adolgiso, Atlante di un viaggio teatrale

Valeria Ottolenghi, O/Z

Andrea Cortellessa, Smascherare il mago di Oz chiuso in noi

       
       
    Un atlante per il meraviglioso mondo di Fanny & Alexander
      Lorenzo Donati ,www.ravennaedintorni.it, 16 settembre 2010
       
     

Un atlante serve per orientarsi, per reperire informazioni. Un "Atlante di un viaggio teatrale" potrebbe servire per perdere l'orientamento, consapevoli della necessità di mettere a tacere le nostre ansie di sistematizzazione, i nostri timori di razionalizzazione. Fanny & Alexander ha recentemente pubblicato un libro, titolato appunto O / Z Atlante di un viaggio teatrale, nella collana I Libri Quadrati della Ubulibri. Chi scrive dichiara subito una "partigianeria", perché ha collaborato all'edizione scrivendo fra l'altro un articolo contenuto nella pubblicazione. Ma se un viaggio resta impresso nella mente è nostro dovere tentare di raccontarlo, sperando che se ne giovi chi s'accinge a partire.

Sospeso fra diario di approfondimento e reportage immaginale, il volume è un'utopica mappa del percorso di Fanny & Alexander nel meraviglioso mondo di Oz, un ciclo di dieci spettacoli che ha preso le mosse dal racconto di Lyman Frank Baum. Nel libro si depositano gli archetipi fondativi che hanno guidato la compagnia: attesa, coraggio, disastro, scelta, fra gli altri. Il gruppo di Ravenna è uno dei pochi ancora persuasi del valore "collettivo" di qualsiasi impresa, e sempre forte è la loro tensione a dialogare, a condividere. Così, dopo quattro anni di lavoro, i Fanny hanno chiesto a molti compagni di viaggio (personalità della cultura e dell'arte) un breve scritto che ruotasse attorno ai nodi del percorso, "precipitati" nella prima parte del libro in 37 tavole ispirate a Mnemosyne di Aby Warburg. Si tratta di fotografie, riproduzioni di figure tratte da libri, da cataloghi d’arte o dal web, materiali visivi estrapolati da giornali e/o dalla vita quotidiana disposte a introduzione alle aree tematiche del progetto, ognuna affiancata da scritti commissionati a figure quali Stefano Bartezzaghi, Goffredo Fofi, Elio Grazioli, Elisabetta Gulli Grigioni, Ermanna Montanari, Teatro Sotterraneo. La seconda parte ospita un fotoromanzo composto con gli scatti di Enrico Fedrigoli, che da anni segue le opere della compagnia, ulteriore "porta" per entrare nel percorso e ideale bagaglio memoriale che tocca tutti gli spettacoli, da Dorothy. Sconcerto per Oz (2007) fino al recente West. Scrive Marco Belpoliti accanto alla tavola "Ambiguità": «Il difficile compito che abbiamo avanti come individui, gruppi, intellettuali non è quello di "essere o non essere" (dilemma di Amleto), ma quello di "come essere e insieme come non essere" (dilemma di Giobbe). Davvero difficile, molto difficile». Sia dunque per noi, questo, un Atlante per trovare una via d'accesso al progetto di Fanny & Alexander, in cui una volta entrati è necessario perdersi. Ma sia anche un modo per cercare un'uscita, e quindi per ritrovarsi. Un libro di teatro e un libro sul teatro, un libro che approfondisce e che racconta, un libro che "ricorda" e un libro che inventa. Tutte queste cose insieme, perché qui gli opposti convivono: fatto che oggi avviene ormai solo in quel fragilissimo ma vitale regno dell'arte e dell'immaginazione, che dobbiamo tenerci stretto.

       
       
    Atlante di un viaggio teatrale
      Armando Adolgiso, armandoadolgiso.it, 24 dicembre 2010
       
     

La Casa Editrice ubulibri ha pubblicato O/Z Atlante di un viaggio teatrale un’ampia riflessione iconica e saggistica sul più recente lavoro della Compagnia Fanny & Alexander, nomi che stanno per Chiara Lagani e Luigi de Angelis.
Né va dimenticato il lavoro di notevole valore svolto con loro da Marco Cavalcoli e Francesca Mazza che giorni fa ha ottenuto il premio UBU come miglior attrice 2010.
In realtà, il volume può essere letto e visto (una vera e propria composizione verbovisiva), non solo come nota su di uno spettacolo, ma come un viaggio nella poetica di questo gruppo – nato nel 1992 –, nome maiuscolo del nuovo teatro italiano.
Scrive giustamente Renzo Francabandera che Fanny & Alexander hanno portato in Italia “… una prassi continuativa sul performativo, sui nuovi linguaggi, dove la drammaturgia diviene non elemento di secondo piano, ma punto di partenza da asciugare e anche, ove necessario, eliminare, per creare una cesura, un corto circuito comunicativo con il pubblico, attraverso una ricerca estetica che ha sempre cercato il cross over e favorendo una riflessione sul rapporto fra tradizione e nuove tecnologie”.
Ed ecco Chiara Lagani in questa videointervista dello stesso Francabandera QUI.

Il libro s’avvale dell’intervento di critici, attori, musicisti, studiosi; per conoscere i loro nomi, date un’occhiata al Colophon.
Per una scheda editoriale: QUI.

A Chiara Lagani ho rivolto alcune domande.
Avete speso finora quattro anni di lavoro prendendo le mosse dal racconto di L.F. Baum.
Che cosa tanto v'interessa in quell'autore da spingervi a dedicargli nove spettacoli?

Credo che “Il meraviglioso mago di Oz” sia un libro molto complesso, che contiene indicazioni importanti per noi oggi. È stato scritto nel 1900 ma certe immagini o metafore che evoca sono davvero attuali: basta pensare all’idea del mago mistificatore che inchiavarda occhialini verdi al cervello del suo popolo per filtrare la visione delle cose solo per garantire alla gente la felicità. Ci sono archetipi immortali, come quello delle scarpette magiche, dal triplice battito, gesto amuletico per eccellenza in ogni viaggio, simbolo della nostalgia che sempre si prova di fronte ad una scelta. Queste metafore così antiche e così attuali hanno innescato cortocircuiti labirintici con altre opere d’arte contemporanee (pensa solo a Him di Maurizio Cattelan, divenuto icona del nostro mago in tutto il progetto, o alle fanciulle in enigmatica attesa delle performance di Vanessa Beecroft, possibili avatar della nostra Dorothy). Penso che un mito quando è potente innesca sempre queste corrispondenze, tra epoche, espressioni artistiche, intuizioni umane. I grandi temi che riattiva la storia di Oz sono ad esempio quello del rapporto tra arte e potere, e quello della responsabilità singola in un percorso che è sempre collettivo. La necessità di produrre più opere forse è anche quella di declinare le molte possibilità di una risposta a partire da una domanda oggettivamente complessa.

Maurizio Grande in un suo intervento di anni fa si chiese: "Ma chi è l'attore: un corpo promosso a figura? Una maschera promossa a persona? Un sostituto promosso a originale?" Tu come risponderesti a tali domande?

L’attore è il vero indicatore di senso in un’opera teatrale. Attraverso di lui si compie la vera riattivazione dell’immagine mitica: non esiste idea, figura o maschera al di là di questa operazione alchemica incredibile che si compie sulla scena attraverso la persona dell’attore, una sorta di trasfusione di vita. L’attore è un essere immenso: se dovessi visualizzare un’immagine credo sarebbe quella di un fascio di colori saldamente intrecciati. La maschera, la figura, la persona, la storia individuale e collettiva sono i colori che vedo in questa treccia complessa, e non sempre è possibile separare il complesso andamento di questa vitale stretta e stabilire dove vada a finire un colore, dove l’altro. L’attore lavora tutta la vita per rendere attiva questa meravigliosa composizione di strati e la sua anima, credo, sarà allora alla fine dei suoi giorni una struttura formidabile, il più spettacolare prisma iridato.

Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi dizioni con i fatali prefissi neo, post, trans che accompagnano spesso varie dichiarazioni di poetica. Vorrei una tua risposta alla domanda: che cosa vuol dire per Chiara teatro di ricerca oggi?

Il teatro è un luogo vivo, in cui più persone concorrono alla creazione di un senso. Per questo è un luogo raro, in questo momento storico. Questa qualità, essere un luogo di produzione collettiva dell’immaginario, è una qualità antica, di forte valenza politica; al di là del loro significato storico, pur sempre circoscritto solo a un certo numero di anni, questa qualità scavalca e polverizza di colpo tutti gli aggettivi e i prefissi che sono stati e saranno mai pronunciati.

Fra gli autori invitati da Fanny & Alexander a comporre il volume O/Z, ho notato alquanti nomi di miei amici. Ho tirannicamente deciso di scegliere due donne che, con la Lagani, fanno un trittico al femminile: un tris di dame che, si sa, battono tutti i tris di cavalieri.
Ed ecco una filosofa del linguaggio, Caterina Marrone, che ho avuto la fortuna di ospitare alcune volte su questo sito web.
A lei da Fanny & Alexander è stata assegnata la tavola chiamata “Ciclone”.
Giusta scelta. Perché costei un ciclone è, come dimostra anche il suo recente libro I segni dell'inganno.

A lei ho chiesto di parlare del suo interesse per il linguaggio di Fanny & Alexander.

Il nuovo volume dei “Fanny&Alexander” è un Atlante: e non poteva essere altrimenti visto che l’ultima opera, l’ultimo affresco che ci hanno dato, è un viaggio attorno al mondo, alla Rosa dei Venti. Denso di simboli archetipici, quelli che sono perenni, dinamici, trasformativi nell’uomo, il volume ferma tappe vitali esperite nel corpo e nella carne oltre che dalla mente dei componenti della compagnia. La scelta simbolica è sapiente, elegante, piena di rimandi emozionali, di pieghe intime, di sensi nascosti da condividere con un pubblico conquistato e attivo, il quale, con loro, ha il piacere di pensare, di ascoltare e di scoprire, anche momentaneamente, un angolo di sé, e di dar forma a quel qualcosa che ciascuno del mondo percepiva e che ora vede palesato sulla scena. Li caratterizza, i “Fanny&Alexander”, un antico rizoma, una radice che origina quel quid catartico che tale è perché formato linguisticamente in una pluralità di codici e microsistemi comunicativi, e li qualifica altresì una ramificazione protesa in avanti che sospinge a un futuro aperto alla creatività. Teatro colto, teatro di pensiero e di emozione, teatro che appassiona.

Più volte la giornalista Silvia Veroli (la leggo spesso, ma mai tanto spesso quanto vorrei su “Alias”, il supplemento del sabato accluso a il Manifesto) è stata ospite di questo sito.
Fra le volte, ad esempio, QUI e QUI.
Fa parte degli autori invitati da Fanny & Alexander a prodursi con un testo su di una “tavola” loro assegnata.
A Silvia è capitata la voce “Avatar” (in foto la tavola). Ed ecco il suo testo.

AVATAR

Premessa
Dorothy è il nostro avatar, il mago di Oz è un meravigliso Avatar anche se pessimo mago. Judy Garland è il primo Avatar di Dorothy (e chi sarà stato il primo di Baum)?
Avatar Oz, zoratava sicuramente il lonfo da qualche parte, con grande gusto dentro un trogolo, e da qualche parte sta anche l’ava Zorat, nonna di second life somewhere dall’altra parte dell’arcobaleno.

La tavola racconta la mia storia
Dorothy è anche il mio avatar.
Mia nonna sicula, nell’al di qua, mi dettava lettere alla sua comare nella terra di Baum. Madri insieme, erano, perché mia madre, sua figlia, era stata tenuta a battesimo pochissimo prima che la madrina emigrasse in America per cominciare la seconda vita.
Il primo tassello nella mia famiglia di una storia transoceanica di sorellanze e matrioske, donne dentro altre donne, di miracolosi gemellaggi.
La sera che ho conosciuto i F&A un’amica mi raccontava di una gravidanza finita male all’ottavo mese. Dopo tre anni capitava a me, uguale preciso, e al risveglio c’erano anche i F&A a consolarmi. Oh, why can’t I?
Poi ho incontrato un’Avatar, la sorella che mi ha ospitato nel suo utero. Il mio Avatar, la sua gravidanza, la mia nuova maternità. Le mie figlie gemelle diverse dopo quasi nove mesi hanno attraversato l’arcobaleno, la mia sorella americana le ha fatte scivolare attraverso di sé verso la vita, e ha fatto passare anche me, riconsegnata alla second life a colori.
Portare un figlio senza vederlo, vedere due figlie senza averle portate, mi sono vista di spalle che partivo, mi sono vista partorire.
“Over the rainbow”, abbiamo cantato come prima lulluby, Obama era presidente ed era il 70nnale del Film di Flemming.

Epilogo
”Sai, a volte mi chiedo se non abbiamo costruito noi inventandocelo.
Se non sia altro che una raccolta dei nostri sogni e delle nostre speranze, dei nostri desideri pomeridiani. Qualcosa su cui impostare le nostre vite come il vecchio orologio in salone, che in sé è reale, ma che dobbiamo caricare per farlo funzionare”.
Angela Carter – “Figlie Sagge”.

       
       
    O/Z
      Valeria Ottolenghi, Exibart.com, 10 gennaio 2010
       
     

Immagini fuori dal tempo come stimolo d’altri pensieri. Un libro a più voci, evocando insieme un affascinante percorso per la scena. Con Fanny & Alexander...

Un alfabeto (incompleto, alcune lettere utilizzate più volte) per evocare la ricerca intorno a uno spettacolo teatrale composto di più parti, ispirato a Il meraviglioso mago di Oz di Frank Baum: visioni che paiono convocarsi tra loro, quadri, disegni, fotografie come invito a studiosi, critici, compagni di viaggio perché lasciassero loro tracce personali. Cominciando da A come Ambiguità per Marco Belpoliti, cui è assegnato un intreccio tra Parmigianino, Andy Warhol e Berlusconi, terminando non semplicemente con l’ultima lettera dell’alfabeto, ma con O/Z (molte pagine qui in forma di foto-romanzo), il percorso teatrale di Fanny & Alexander.
Un volume di speciale eleganza. Sempre preziose le edizioni dei libri quadrati Ubu. Ma qui si avverte anche la proiezione della particolare sensibilità estetica del gruppo, ardita e ilare, rigorosa e originale, accuratissima e spudorata. Molta parte dunque, circa metà del libro, è realizzata come una sorta d’avvio, intrecci di sguardi: a ciascuno una parola - Cervello, Dissolvimento, Ferita, Ritmo, Scelta... 37 in tutto - e una pagina di "tavole immaginali molto liberamente ispirate a ‘Mnemosyne’ di Aby Warburg” con fotografie, riproduzioni d’arte, materiali visivi dal web o da riviste, con l’intenzione di realizzare una sorta di mappa, capace comunque di condurre lì, a Oz, all’opera di Fanny & Alexander.
Nella limpida presentazione Da O a Z, Chiara Lagani e Luigi de Angelis definiscono questo libro l’atlante di un viaggio, aggiungendo: "Ma un Atlante precede il viaggio o ne deriva?”. Già: ci vuole una mappa per partire, ma potendola/dovendola correggere lungo il percorso. Andare e tornare, perdersi e ritrovarsi. Come un labirinto? Forse: cercando la via d’uscita - spiegano gli artisti/autori - accettandone insieme la forma infinita.
Le immagini per Sud, una delle parole-chiave, posano su Rosso banco e marrone di Rothko. È Daniela Nicolò di Motus, uno dei gruppi teatrali di maggior rilievo italiano/internazionale, a rispondere con un frammento del loro magnifico Iovadovia/Antigone: una forma di alto rispecchiamento tra compagnie dalle poetiche forti e originali.
In otto capitoli è suddivisa la seconda parte del libro, le otto tappe di Oz, Dorothy, Kansas, East, South, North, West, Emerald City e There’s no place like home.
Di particolare sensibilità teatrale le foto di Enrico Fedrigoli. Per West le immagini moltiplicate ritraggono Francesca Mazza, superba attrice che ha meritato, in particolare proprio per il suo lavoro con Fanny & Alexander, il Premio Ubu come migliore attrice.

       
       
    Smascherare il mago di Oz chiuso in noi
      Andrea Cortellessa, La Stampa - Tuttolibri, 26 marzo 2011
       
     

Di norma, di uno spettacolo si legge un programma di sala. E di una mostra un catalogo. Del lavoro degli ultimi quattro anni del gruppo teatrale di Ravenna Fanny &
Alexander (al secolo Chiara Lagani, dramaturgo e attrice, e Luigi de Angelis regista: meno di 75 anni in due ma sulle scene da 18…) ci viene invece proposto un Atlante.

Anzitutto perché non di un semplice spettacolo si tratta, bensì d'un «viaggio teatrale» in dieci tappe. Da Dorothy. Sconcerto per Oz, all'inizio del 2007, a West, ancora in tournée.

Ma on the road da sempre è la vita dei teatranti. Il vero «viaggio» è quello all'interno del testo di F&A, nonché il nostro nel loro continente di immagini ed enigmi.

Il «testo» è Il mago di Oz: la fiaba pubblicata nel 1900 da L. Frank Baum e soprattutto il film diretto nel 1939 da Victor Fleming (con la sedicenne Judy Garland nei panni di Dorothy): un territorio attraversato a tutti i livelli e in tutte le direzioni, con un grado di «perversione» ermeneutica che può ricordare quello di Giorgio Manganelli in Pinocchio o di Vladimir Nabokov nell'Evgenij Onegin (e infatti il «viaggio» precedente di F&A s'era addentrato nell'«Antiterra» di Ada o ardore, proprio di Nabokov). In questo modo gli spettatori sono costretti a essere complici dello spettacolo: farsi parte attiva, cioè, del suo senso. Che è quanto accade pure con le fiabe. Specie quando le rileggiamo da adulti, accorgendoci che l'innocua parabola d'un tempo ci rivela - a distanza - una parte profonda di noi stessi.

Intervistata dal collettivo Altre Velocità (nel loro volume Un colpo, edito da Longo, pp. 64, euro 15) dice Chiara Lagani: il mito è uno «specchio in cui si scorge all'improvviso il proprio volto», in un processo che «riattiva l'archetipo, lo svela e lo fa rinascere». In tempi di sempre più uggiosa estetica del documento e del «fatto vero», è questo - dicono F&A - un ben più profondo «realismo psichico». Che, anziché imporre a tutti la
stessa realtà (cioè lo stesso stereotipo), a ciascuno evoca la propria realtà.

Ma così si comportano altresì - spiegava il grande Aby Warburg - le immagini del passato, le quali sopravvivono come pathosformel: combinazioni di stimoli sensoriali e psichici che si riattivano a distanza. Ecco perché l'Atlante di O/Z - come quello a suo tempo composto da Warburg con Mnemosyne (con in più un gusto destrutturante e combinatorio che rinvia a S/Z di Roland Barthes) - è una serie di 37 tavole: più immagini sovrapposte e una parola-titolo che evocano le «immagini attive» del film di partenza (per esempio il Ciclone - che trascina Dorothy dal suo Kansas in bianco e nero al mondo a colori di Oz - richiama opere visive di Hans Bellmer e Louise Bourgeois, ma anche l'acconciatura «a vortice» di Kim Novak in Vertigo di Hitchcock).

Dopo di che 37 complici illustri (teatranti, artisti, critici e studiosi: da Stefano Bartezzaghi a Marco Belpoliti e Goffredo Fofi, da Stefano Chiodi a Elio Grazioli e Antonella Sbrilli, da Fabrizio Arcuri a Ermanna Montanari e Teatrino Clandestino) intervengono a commentarle. Ogni tavola è un test: per loro come per noi, a distanza.

L'effetto è quello di un continuo s/paesamento. Atterrati nel mondo del sogno (rispetto al libro, il film fa coincidere i magici aiutanti della ragazza - l'Uomo di Latta, il Leone Fifone, lo Spaventapasseri - con le figure «reali» della sua vita diurna: e del resto l'anno del libro è lo stesso dell'Interpretazione dei sogni di Freud…), dice Dorothy al suo cagnolino: «Toto, ho l'impressione che noi non siamo più nel Kansas».

Eppure il sogno non fa altro che svelarci la nostra vita, la fiaba il nostro presente. Infatti solo adesso si capisce perché ai due capi del «viaggio» - e nelle due copertine del suo «atlante» - ci siano figure così distanti come il piccolo Hitler che F&A hanno ricalcato su Him di Maurizio Cattelan e la Dorothy cinquantenne e stressatissima di West (impersonati, in due formidabili prove d'attore, da Marco Cavalcoli e da una Francesca Mazza perciò insignita del Premio Ubu). Mentre il primo «dirige» un'orchestra immaginaria che «esegue» l'intero film, la seconda viene «diretta» da ordini sempre più pressanti. L'Occidente è un Mago che dovrebbe salvarci, ma si rivela un Mistificatore che ciurla ordini.

Spiega però Massimo Recalcati - in quella che è forse la tavola-chiave - che il totalitarismo di oggi non è più quello scenografico (e «teatrale») del '39. Come il nostro presente esso è microscopico, reticolare, onninvasivo: «il nuovo leader, il leader senza pulpito, è solo davanti allo specchio. Il suo cinismo è una forma estrema di narcisismo».

Il Mago che dobbiamo smascherare, l'Hitler che dobbiamo riconoscere puerile e risibile, è quello chiuso dentro di noi. Alla Strega Cattiva dell'Ovest, che ci intima «Arrenditi Dorothy!», dobbiamo fare di tutto per non arrenderci. È tempo di partire per un altro viaggio.

       
       
       
     

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